lunedì 15 marzo 2010

Il testamento biologico


L'umano ridotto a vegetale.
Non conosciamo la nostra sorte. Un incidente può ridurci allo stato vegetale: non possiamo più parlare, muoverci, ma solo soffrire. Quelli che sono in coma vegetativo soffrono ogni secondo, ogni minuto e nessuno può aiutarli. Tutto questo finirà con la morte. Perché qualcun altro deve decidere al posto nostro? Noi siamo padroni della nostra vita! Tutto quindi si può risolvere e finire con l’eutanasia, la morte. Questa non può essere una nostra volontà? Perché siamo costretti a obbedire (anche in quelle condizioni) ad una “legge” della Chiesa che ci impedisce di interrompere la vita e le sofferenze? Dicono che dopo la morte c’è una vita di felicità, allora perché a queste persone non la si può dare subito?
Martina


Cara Martina,
Innanzi tutto occorre fare chiarezza su cos’è uno stato vegetativo. Si tratta di uno stato clinico conseguente al coma o che, nella fase terminale della vita, lo può precedere.
In sintesi, la definizione internazionalmente accettata dello stato vegetativo indica una condizione clinica in cui il paziente è sveglio (cioè ha gli occhi aperti, mentre nel coma gli occhi sono sempre chiusi), ma non è cosciente (non è consapevole di sé e di sé rispetto all’ambiente: in pratica non comunica e non risponde all’ambiente circostante).
Wikipedia ne dà una definizione sostanzialmente corretta: “[…] un paziente in stato vegetativo ha perso le funzioni neurologiche cognitive e la consapevolezza dell’ambiente intorno a sé, ma mantiene quelle non-cognitive e il ciclo sonno-veglia; può avere movimenti spontanei e apre gli occhi se stimolato, ma non parla e non obbedisce ai comandi. I pazienti in stato vegetativo possono apparire in qualche modo normali: di tanto in tanto possono fare smorfie, ridere o piangere”. Tutto questo senza però valenza emotiva e volitiva. Un semplice e puro automatismo riflesso.
Ricordiamo che, per quanto riguarda la chiesa cattolica, La dottrina, in merito all'eutanasia, è riassunta nell'articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicata al quinto comandamento:
2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.
Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere.
2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.
2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.

Invece, a titolo di curiosità, ricordiamo che il Dalai Lama, in visita a Roma e intervistato sul concomitante caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo da 17 anni, ha ribadito le sue convinzioni sull'argomento:
L'eutanasia "dovremmo evitarla, ma in casi particolari si potrebbero fare delle eccezioni". Su Eluana: "Se veramente non c'è alcuna possibilità di guarigione, mantenere quello status è molto costoso e le famiglie soffrono, allora si potrebbe agire. In generale se pure una persona non cammina più, ma il suo corpo e il suo cervello sono ancora presenti, allora è meglio tenere una persona in vita, ma si possono fare eccezioni".
Le cure vanno fermate se non vi è "la possibilità di recuperare la coscienza e le funzioni mentali". Nel buddismo, "nei casi di male incurabile c'è una pratica che consente l'abbandono della coscienza dal corpo"; negli altri casi "anche noi parliamo di suicidio".

Riportiamo, anche il parere di Umberto Veronesi (http://www.cdbchieri.it/rassegna_stampa_2009/englaro.htm):
"Il diritto di disporre della propria vita esiste. E´ sancito dall´articolo 13 sulla libertà personale e dall’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario e anche dall´articolo 35 del Codice di Deontologia Medica che conferma che non è consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.". Sappia quindi la gente che c´è un punto fermo : nessuno può violare questo diritto e c´è chi si impegna a farlo rispettare sempre e comunque nella sua sostanza. Eluana oggi non è quella delle foto. E´ una donna di quasi quarant´anni anni, senza sorriso, senza espressione negli occhi, senza vita di relazione, senza coscienza, senza controllo di un corpo, che è ormai un involucro in disfacimento. La sua vita meravigliosa si è spenta per sempre 17 anni fa.
Fatte queste premesse, veniamo al dibattito politico in Italia.
L'argomento, "eticamente sensibile", è oggetto di posizioni differenti fra correnti di pensiero di tipo laico, radicale comprese discussioni di ispirazione cristiana sull'eutanasia e di forte difesa della vita.
Per quanto riguarda l'eutanasia il Comitato Nazionale di Bioetica si è espresso nel dicembre 2003 con un documento, di 19 pagine, contenente un'analisi delle problematiche connesse e terminante con una serie di raccomandazioni, il cui rispetto garantisce la legittimità delle dichiarazioni anticipate. Nel documento si afferma che le dichiarazioni anticipate non possono contenere indicazioni «in contraddizione col diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia (...) il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza» e che «il diritto che si vuol riconoscere al paziente di orientare i trattamenti a cui potrebbe essere sottoposto, ove divenuto incapace di intendere e di volere, non è un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire che il paziente possa far valere nel rapporto col medico (...) ma esclusivamente il diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche anche nei casi più estremi e tragici di sostegno vitale, pratiche che il paziente avrebbe il pieno diritto morale e giuridico di rifiutare, ove capace»
Il documento del Comitato Nazionale di Bioetica afferma inoltre che i medici dovranno non solo tenere in considerazione le direttive anticipate scritte su un foglio firmato dall'interessato, ma anche documentare per iscritto nella cartella clinica le sue azioni rispetto alle dichiarazioni anticipate, sia che vengano attuate o disattese.
Di tanto in tanto alcuni casi di morte per termine o rifiuto del trattamento medico (come quelli di Luca Coscioni e Eluana Englaro) pongono all'attenzione della politica e dell'opinione pubblica la necessità di legiferare in maniera chiara sull'argomento
In attesa di una legge che regoli la materia è in atto, in molti comuni italiani, la raccolta della dichiarazione anticipata di trattamento dei cittadini residenti nel territorio interessato. Per i promotori di queste iniziative questi atti non eludono e non anticipano le iniziative legislative, ma sono l'azione necessaria perché, in caso di bisogno, non sia necessario ricostruire, a posteriori, le volontà dell'interessato, come è successo nel caso di Eluana Englaro.

Concludo, facendo riferimento al post del BLOG "VERITA' A CONFRONTO":
http://nuoveteorie.blogspot.com/2009/04/vita-vegetativa-e-vita-umana-quando.html
La vita di una persona umana INIZIA quando, diventato FETO, il suo cervello è in grado di comunicare con altri cervelli umani, anche allo stato inconscio. Già dopo la prima comunicazione, il SUO DNA, INVARIATO DAL CONCEPIMENTO, INIZIA A MODIFICARSI, VISTO CHE SI MODIFICANO LE SINAPSI DEL CERVELLO ED INIZIA A FARE ED IMMAGAZZINARE ESPERIENZE INTERAGENDO ANCHE CON L'AMBIENTE STESSO.
LA VITA ANIMALE (compresa quella di tipo umano) DIFFERISCE DA QUELLA VEGETALE PER L'APPRENDIMENTO IN RELAZIONE ALLE ESPERIENZE (i vegetali non apprendono dalle singole esperienze allo stesso modo degli animali).
LA VITA ANIMALE ED UMANA E' VARIAZIONE INCESSANTE DELLE SINAPSI CEREBRALI E DEL DNA (E NON IMMUTABILITA' DEL DNA CHE RIMANE ANCHE IN UN ORGANO IN ATTESA DI UN TRAPIANTO).
Qui siamo nel campo delle NEUROSCIENZE: Eric Kandel ha preso il NOBEL nel 2000 proprio per aver dimostrato, con studi sulla lumaca di mare Aplysia e sui topi, che ad ogni nuova esperienza o apprendimento fatto da un individuo animale (o umano) con un cervello con neuroni e sinapsi, corrisponde una MODIFICAZIONE DELLA RETE NEURONALE E SINAPTICA (con nuove sinapsi o anche con semplici ispessimento di alcune delle sinapsi esistenti). A queste modificazioni sinaptiche, per le funzioni trascrizionali del DNA, corrisponde anche una variazione del DNA che in gran parte si tramanda anche ai discendenti (vedi: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/neuroscienze/articoli/neuro4.htm).
Ovviamente, vi sono settori di variabilità del DNA che interessano le modificazioni della forma e delle funzioni organiche; altre modificazioni, invece, interessano proprio l'aspetto umano (carattere, fobie, intuito, complessi, archetipi, etc.). MODIFICARE INCESSANTEMENTE IL DNA SOTTO QUESTO ASPETTO (diciamo MENTALE) EQUIVALE A FARE ESPERIENZE E VIVERE UNA VITA PARAGONABILE A UNA VITA UMANA SPIRITUALE
Un caro saluto,
Alessandra

Cara Martina,
Una serie di eventi drammatici, ad esempio quelli di Luca Coscioni, Piergiorgio Welby e Eluana Englaro (ma Giorgio Cosmacini – importante storico della medicina - ci aiuta a ricordare anche altri casi: Karen Quinlan, Nancy Cruzan, Terri Schiavo, Mirko Drazen Grmek), hanno creato in tutti noi un forte impatto emotivo e hanno richiamato fortemente l’attenzione su una questione estremamente rilevante: in certe situazioni-limite chi ha il diritto di intervenire, di prendere decisioni, di sentenziare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato fare della vita di ciascuno? (Il filosofo italiano Paolo Flores D'Arcais, direttore della rivista MicroMega, ha intitolato significativamente un libro su questo argomento: “A chi appartiene la tua vita?”, Ponte alle Grazie, 2009). Per questo negli ultimi anni è emersa la questione del “testamento biologico” anche nella formula di “dichiarazione anticipata di trattamento” (questa, tra l’altro, è la definizione impiegata dal Comitato Nazionale di Bioetica). Conosciamo il significato della parola testamento: indica la disposizione dei propri beni per il futuro, ossia indica il desiderio che qualcosa venga attuato. E se questo bene è la vita stessa in certe condizioni tragiche, sventurate e dolorose, allora la questione acquista un valore ancora maggiore.
Perché la “dichiarazione anticipata di trattamento” è diventata importante?
Perché alcune malattie o condizioni particolari del cervello (il coma, il morbo di Alzheimer, gravi forme di demenza) debilitano talmente una persona che si pensa che sia preferibile lasciare alla persona stessa la possibilità di indicare in forma scritta i propri desideri quando si trova, come dici tu, ad es. per uno stato di coma, in condizione di incoscienza o quando è comunque impossibilitata a comunicare in qualche modo la propria volontà a coloro che si stanno prendendo cura di lei. Nel corso del tempo, nelle riflessioni sui diritti della persona sta aumentando la consapevolezza che sia lecito che un uomo in grado di intendere e volere possa far conoscere i propri desideri e le proprie decisioni sulle terapie e sui trattamenti che desidera gli siano (o meno) praticati nel caso in cui la vita non gli consenta più di esprimere con precisione la propria volontà. D’altra parte questo diritto deriva anche dalla Costituzione italiana, che all’art. 32 dice: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Lo studioso Giorgio Cosmacini, nel libro “Testamento biologico. Idee ed esperienze per una morte giusta” (Il Mulino, 2010, 123 pp.) racconta un curiosa dichiarazione anticipata di testamento risalente al Rinascimento. Si tratta del “testamento del capitano”. Scrive l’autore: “Il 18 ottobre 1528 il marchese di Saluzzo Michel'Antonio Del Vasto, luogotenente del maresciallo francese visconte di Lautrec all'assedio di Napoli, muore per ferite. Il corpo viene rimpatriato dai suo armigeri, diviso in quattro parti, destinate per volere del defunto rispettivamente: alla madre la testa, alle vallate subalpine il tronco, alla promessa sposa il cuore e il resto al Monferrato natio. Durante il rimpatrio, nei bivacchi militareschi nasce una ballata che, ricuperata da Costantino Nigra all'indomani dell'unità d'Italia, entra a far parte del patrimonio culturale del Corpo degli Alpini e viene modernizzata durante la prima guerra mondiale”. Ora, il testamento biologico a cui si fa riferimento non è certo di questa natura, ma è semplicemente il tentativo di evitare che la vita umana in certe condizioni di non ritorno si perda in una zona particolare in cui però leggi e meandri lasciati dalle leggi rendono difficile trovare soluzioni per il paziente, responsabilità per chi si prende cura del corpo e dignità per il soggetto sofferente. Ti riporto una bella riflessione di uno studioso dell’Università di Torino: "Ogni paziente, qualunque sia la sua condizione clinica, conserva la propria dignità anche nel tempo dell’approssimarsi della morte; egli rimane cioè pienamente persona, meritevole dunque di un rispetto incondizionato", scrive Giannino Piana nel libretto Testamento biologico. Nodi critici e prospettive (Cittadella editrice, 2010, 128 pp.) e più avanti aggiunge che: “Il valore della persona trova anche nella scelta della propria morte e proprio riconoscimento della propria dignità”.
Ora soffermiamoci sulla relazione di cura.
Uno dei problemi da affrontare è quello relativo alla sospensione della nutrizione e dell’idratazione.
Cosmacini presenta una efficace sintesi dell’articolazione di tale problema.
1. la nutrizione-idratazione è un trattamento medico-sanitario oppure un sostentamento vitale ordinario (equivalente ad es. a dare da mangiare e da bere a un individuo affamato e assetato)?
2. si può sospendere di nutrire-idratare in base alla volontà del paziente oppure questo non è possibile in assenza di una diretta ed esplicita testimonianza in proposito da parte del paziente?
3. l'interruzione del sostegno vitale assistito deve essere considerato come cessazione di un accanimento terapeutico oppure come una forma di eutanasia?
Su queste tre questioni diciamo che sostanzialmente vertono le riflessioni sull’opportunità e sulla validità del testamento biologico.
1 A Alcuni ritengono che siano equivalenti le seguenti azioni: dar da mangiare e da bere a chi è affamato e assetato e le odierne trasfusioni e fleboclisi che forniscono nutrimento e idratazione del corpo
1 B Altri ritengono che non possiamo equiparare l’imperativo di dar da mangiare e da bere a chi è affamato e assetato alle odierne trasfusioni e fleboclisi perché queste pratiche rientrano in un preciso contesto di terapie mediche (non sono un’indicazione di principio che si rivolge genericamente a tutti); e che in riferimento alla pietas umana, e proprio per il bene altrui, sia talvolta necessario sospendere trattamenti che, prolungando indefinitamente il bios vitale, ledono la dignità della persona umana che viene ridotta a cosa.
2 A Alcuni ritengono che poiché in base alle tecniche attuali non si è definitivamente sicuri che non vi sia un residuo di attività cerebrale che potrebbe dar origine ad una variazione di una valutazione fatta anticipatamente, non sia lecito interrompere le terapie.
2 B altri ritengono che se, in base anche alle neuroimmagini fornite dalle nuove tecniche di studio del cervello (grazie alla fMRI=risonanza magnetica funzionale) non è possibile dimostrare attività cerebrale, allora è lecito fare riferimento alle indicazioni fornite dal paziente precedentemente.
3 A Alcuni ritengono che rinunciare ad un trattamento artificiale di sostegno alla vita sia un atto di pietas umana che rinuncia all’accanimento terapeutico
3 B Altri ritengono che tale rinuncia sia - dice Cosmacini - un “colposo dare la morte a chi ancora vive”.
Personalmente condivido la riflessione del professore emerito di medicina Claudio Rugarli dell’Ospedale San Raffaele di Milano, riportata nel volume citato. Egli distingue tra vita biologica e vita umana e scrive: “La vita umana è certamente impossibile senza vita biologica, ma implica qualcosa di radicalmente superiore, che consiste in quattro qualità: la capacità di inferire aspetti della realtà che vanno al di là delle esperienze percettive e della loro memoria; il linguaggio; l'immaginazione; la capacità di nutrire sentimenti del tutto peculiari, tipici degli esseri umani”. Inoltre ricorda ancora che nonostante tutta la pietas e l’affetto per la persona in queste condizioni, a volte sia proprio l’amore che invita a sospendere ogni forma di accanimento. Scrive Rugarli: “La vita biologica può confliggere con la vita umana, come in presenza di serie malattie che comportano gravi sofferenze o quello stato di cosificazione che è lo stato vegetativo permanente. In queste circostanze l'amore può esprimersi nel desiderio che la vita biologica si separi dalla vita umana.” Prolungare la vita biologica non è equivalente a prolungare la vita umana. … Spero che i riferimenti citati da Alessandra e in questo articolo ti permettano di riflettere su questo delicato problema per comprendere anche le ragioni di coloro che sostengono tesi differenti e che in questo momento senti lontane dalla tua sensibilità.
Un caro saluto,
Alberto

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