venerdì 30 ottobre 2009

In praeterito tempo cogitatio, in futuro arcanum, carpe diem!


Ieri è un pensiero, domani un mistero, cogli l'attimo fuggente.
Pietro, 16 anni

Omnia nulli prodest, nihil omnibus rebus


Tutto serve a nulla, ma anche un "nulla" può servire a tutto.
Marco, 16 anni

Vitae unica fides praesens est


L'unica certezza della vita è il presente.
Nicolò, 16 anni

Noli caedere, sed supera impedimenta et tua meta consequi


Non arrenderti davanti agli ostacoli, ma superali e raggiungi il tuo traguardo
Federica, 16 anni

Unus quisque habet palpitationem cordis narrandam


“Ognuno di noi ha un battito di cuore da raccontare”
Sara, 16 anni

Noli sperare optima futura, incipe ea aedificare


“Non sperare in un futuro migliore, inizia a costruirlo”
Maurizio, 16 anni

Noli ire ultra tuas habilitates


“Non andare al di là delle tue capacità”
Renato, 16 anni

Utere tota scaena vitae tuae


“Usa tutto il palcoscenico della tua vita”
Martina, 16 anni

Omnia nulli prodest, sed etiam nihil omnibus rebus


"Tutto può servire a nulla, ma anche un nulla può servire per tutto".
Nicolò, 16 anni

mercoledì 28 ottobre 2009

Noli desiderare praeteritum tempus, vive praesens et cogita futurum


Non rimpiangere il passato, vivi il presente e pensa al futuro
Lorenzo, 16 anni

Noli unquam desinere agere


Non mollare mai
Marco, 16 anni

Noli paenitere nihil si, cum fecisti, beatus eras


Non pentirti di nulla, se quando l’hai fatto eri felice
Eleonora, 16 anni

Vita non consistit ad te expectandum


La vita non si ferma ad aspettarti
Simona, 16 anni

Da totum te ipsum in omnibus rebus quae facis


Da’ tutto te stesso in tutto quello che fai
Anna, 16 anni

Contende tuis operis ad famam et non ad exitum


Ambisci con le tue azioni alla fama e non al successo
Chiara, 16 anni

lunedì 26 ottobre 2009

La vera amica


Molte volte mi è capitato nella mia vita quotidiana di fermarmi un attimo e di allontanarmi dalla solita frenetica vita per il solo motivo di pensare e riflettere: già, certe volte mi passa in mente la domanda (che può anche parere stupida...): " ma esiste una vera amica, la cosiddetta best friend? ". Qualche volta ho provato a darmi una risposta, nella maggior parte di queste ho creduto che ci fosse davvero... ma poi, un po' a causa di quello che mi succede (cioè le relazioni che ho con le mie amiche) e un po' io che cambio sovente idea... non sono affatto sicura della risposta. Una persona che ti aiuti nel momento del bisogno, che non ti tradisca mai, che tiene per sé (e solo per sé) tutti i segreti che le confidi, con cui è piacevole stare insieme... come una mezza sorella... questa persona esiste davvero? Sembra più che altro un personaggio delle favole, in cui tutto è fantasia e la vita solo un “lieto fine”. Io mi definisco molto sensibile, cioè per ogni minimo disaccordo o discussione, rimango sempre molto male, non perché sono permalosa, ma perché credo di aver ferito involontariamente un'altra persona senza volerlo. Ho avuto molte carissime amiche e fino all'ultimo credevo che fossero veramente uniche e speciali, ma poi scattava sempre qualcosa che ci allontanava (ad esempio, degli atteggiamenti un po' a “tradimento”). Come si fa a riconoscere una migliore amica?
Irene



Cara Irene,
L’amicizia, insieme all’amore, è uno dei sentimenti, o stati emozionali, fondanti della vita sociale. In quasi tutte le culture l’amicizia viene intesa e percepita come un rapporto alla pari, basato sul rispetto, la stima, la disponibilità reciproca, che non pone vincoli specifici sulla libertà di comportamento delle persone coinvolte” (vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Amicizia ).
Vediamo, quindi, dal punto di vista neuroscientifico, che cosa sono le emozioni ed i sentimenti. Uno dei più grandi neuro scienziati viventi, Antonio Damasio (vedi: http://www.filosofico.net/damasioantonio.htm), portoghese e ricercatore negli USA, è famoso in tutto il mondo per aver scritto tre libri (L'errore di Cartesio. Emozioni, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1994; Emozione e coscienza, Adelphi, Milano, 2000; Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi, Milano, 2003).
Secondo le ricerche di Damasio, nei processi mentali, per primo viene il meccanismo dell’emozione. Le emozioni, che condividiamo anche con molti animali inferiori, sono le componenti del processo biologico che rimangono private (ovvero personali) ed esibite nel corpo. Sono costruite a partire da semplici reazioni automatiche, senza ragionamento, che promuovono la sopravivenza dell’organismo e che pertanto si conservano nell’evoluzione, trasmettendosi ai discendenti, tramite le funzioni trascrizionali del DNA. I sentimenti, che condividiamo con molti animali superiori (ovvero più evoluti), invece, sono le componenti del processo esibite e rese pubbliche, ed esibite anche nella mente, anziché nel corpo. Ne consegue la funzione di produrre una mappa cerebrale e poi un’immagine mentale (o idea) dello stato dell’organismo che ne risulta, cioè il sentimento. In termini più comprensibili, “le emozioni sono modificazioni del nostro corpo, soggettivamente rilevabili ed oggettivamente misurabili in termini di livelli della temperatura corporea, frequenza del battito cardiaco, valori della pressione arteriosa e così via, mentre i sentimenti sono percezioni, immagini mentali e pensieri relativi a quelle modificazioni del corpo, che vengono elaborati dalla nostra mente in un'ampia gamma di sfumature comprese tra il piacere e il dolore ovvero tra il benessere e la sofferenza. Quindi "l'emozione e le reazioni affini sono schierate sul versante del corpo, mentre i sentimenti si trovano su quello della mente".
Damasio ribadisce che l’integrità dei meccanismi dell’emozione e del sentimento è necessaria per un comportamento sociale umano normale. I sentimenti "ci aiutano a risolvere problemi non standard che implicano creatività, giudizio e processi decisionali.”. Non potremmo sopravvivere senza le emozioni ed i sentimenti.
Ho fatto questa brevissima introduzione neuroscientifica per sottolineare che il punto di partenza di Damasio, sostenuto dall'osservazione di diversi casi clinici, ed ormai quasi universalmente accettato dalla comunità scientifica internazionale, è che il cervello non può essere studiato senza tener conto dell'organismo a cui appartiene e dei suoi rapporti con l'ambiente.Da qui, il carattere umano, non metafisico e non idealizzato, dei sentimenti in generale e dell’amore e dell’amicizia, in particolare.
Nel divenire dello sviluppo dell' emotività individuale, le amicizie vengono dopo il rapporto con i genitori e prima dei legami di coppia che si stabiliscono alla soglia della maturità. Nel periodo che intercorre fra la fine dell'infanzia e l'inizio dell'età adulta, gli amici sono spesso la componente più importante della vita emotiva dell'adolescente, e spesso raggiungono un livello di intensità mai più eguagliato in seguito. Queste amicizie si stabiliscono il più delle volte, ma non necessariamente, con individui dello stesso sesso ed età”. Sono anche frequenti amicizie tra uomini ed animali superiori (tipo cani, gatti, cavalli, etc.), o anche tra animali di specie diverse.
La vera amicizia è quindi, ormai, un’esigenza della nostra vita sociale e a cui quasi tutti aspiriamo. Sta però a noi o al libero arbitrio di entrambi gli amici, coltivare, alimentare e far fruttificare l’amicizia perché come tutte le cose umane (amore compreso) si può deteriorare ed interrompere, specialmente quando entriamo nella fase matura in cui subentra l’amore. Alcune belle amicizie, come a volte l’amore, durano però per tutta la vita; ma non dipende solo da una delle parti, ma da entrambe. Per cui se un’amicizia si rompe, non è auspicabile colpevolizzarsi, ma al limite analizzare l’esperienza per ricavarne insegnamenti per il futuro.
Come riconoscere una vera amicizia? Una vera amicizia si riconosce esattamente in base alla sua definizione, ovvero se è “un rapporto alla pari, basato sul rispetto, la stima, e la disponibilità reciproca, che non pone vincoli specifici sulla libertà di comportamento delle persone coinvolte”.
Un caro saluto
Alessandra


Cara Irene,
L’amicizia (philía) è una forza potente: pensa che il filosofo Empedocle di Agrigento (V sec. a.C.) eleva la philía (amicizia, amore, concordia) alla forza che unisce le cose stesse a differenza del néikos, la discordia che distrugge e separa. Una forza importante che muove anche gli elementi del cosmo stesso. Siamo partiti da lontano, dunque, ma ora ci avviciniamo alle amicizie tra gli uomini. Nella storia troviamo racconti bellissimi di grandi amicizie: Davide e Gionata, Achille e Patroclo, Oreste e Pilade, Montaigne e La Boétie e, ovviamente, moltissimi altri.
Nella tragedia Oreste di Euripide (V sec. a.C.) è narrata l’amicizia tra Oreste e Pilade; ad un certo punto Pilade dice a Oreste: “Mettimi intorno il tuo braccio, appoggiati al mio fianco. Il tuo male ti ha stremato. Ti porto io attraverso la città, senza curarmi della folla. Non mi vergogno. Dove avrò da mostrarmi amico se nelle terribili prove che affronti non ti do aiuto?". E più avanti afferma addirittura che, se mai lo dovesse tradire, preferirebbe che la terra non accogliesse più il proprio sangue. A sostegno del valore dell’amicizia dirà ancora: “un uomo che fa uno con te in ogni sentimento, anche se è di fuori, è più di mille consanguinei averlo come amico”. L’amicizia supera dunque il legame della parentela stessa e, pertanto, conclude Oreste: “non c’è nulla al mondo che sia più di un amico sincero”.
Ma è soprattutto Aristotele a parlare della natura dell’amicizia. In un’opera importante, la Grande etica, Aristotele dice: ”Quando noi vogliamo vedere la nostra faccia, la vediamo guardandoci nello specchio, similmente, quando vogliamo conoscere noi stessi, potremo conoscerci guardando nell’amico”. È infatti grazie all’altra persona che noi scopriamo le nostre peculiarità, i nostri bisogni e andiamo incontro al mondo. Nell’Etica nicomachea, invece, Aristotele scrive che l’amicizia è “assolutamente necessaria alla vita” e che “senza amici, nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni”. L’amicizia è dunque una cosa necessaria e bella, perché: “due che marciano insieme…, infatti hanno una capacità maggiore di pensare e di agire”. Nell’amicizia ci si procura gioia a vicenda e si fa il bene l’uno dell’altro. Secondo Aristotele ci sono diversi tipi di amicizia, alcuni fondati sull’utile, altri sul piacere e altri sulla virtù. La forma più stabile di amicizia è però quella fondata sulla virtù. Chi è buono ama l’amico per se stesso e in modo duraturo.
Si può essere amici, infatti, perché si ottiene qualche utile; o perché se ne ricava un qualche piacere; in questi casi non si amano ancora le persone in se stesse, ma per ciò che da esse si ottiene: l’utile o il piacere. Ma se uno non è più utile o non è più piacevole allora cessa il motivo dell’amicizia. Aristotele dice che l’amicizia legata all’utile è tipica soprattutto degli anziani, mentre quella legata al piacere è tipica dei giovani che perseguono soprattutto i piaceri immediati. Poiché l’utile non è costante e ciò che è piacevole può variare, allora queste amicizie possono esaurirsi facilmente. L’amicizia muta allora col mutare di ciò che attrae, affascina o diverte. Infatti col passare del tempo le cose che producono piacere sono diverse: “è per questo che i giovani - dice Aristotele - rapidamente diventano amici e rapidamente cessano di esserlo: infatti, l’amicizia muta col mutare di ciò che fa piacere, e il mutamento di un tale tipo di piacere è rapido”. L’amicizia perfetta è invece l’amicizia degli uomini buoni che sono simili per virtù. Questi infatti vogliono il bene l’uno dell’altro. La virtù è un abito, per Aristotele, non qualcosa che varia continuamente. Quindi grazie alla propria virtù, che è un certo modo di essere, le persone vogliono il bene degli altri e da questo traggono soddisfazione. L’amicizia matura non è appiattimento dell’uno sull’altro, né subordinazione. Altrimenti accade che l’amicizia venga soffocata. È giusto quello che chiedi, cara Irene: ossia è necessario che l’amica sia in grado di sentire l’urgenza che senti tu della condivisione di momenti importanti, la necessità del dialogo leale e una certa sofferenza per la tua assenza; è fondamentale che non manchi fede alla parola data e che sappia custodire le cose intime. L’amico/a condivide con noi “un’intimità allargata”; nasce, infatti, tra due persone una forma di fiducia, dove il reciproco fidarsi è un af-fidarsi dell’uno all’altro, ossia un consegnare all’altro una parte di noi, spesso la più recondita. Perché allora sentiamo ogni tanto lo scricchiolìo di certe amicizie, anche profonde e intime? Mi viene in mente un episodio curioso letto in una vignetta e riportato da Joseph Epstein in un bel libro sull’amicizia (Amicizia, Il Mulino, 2008). All’uscita dalla chiesa un uomo esclama: “Come posso amare i miei nemici, se non mi piacciono neanche i miei amici?”. Ora, fatti salvi lealtà e rispetto reciproci, forse a volte chiediamo troppo agli amici e vorremmo che non cambiassero mai. Accusiamo loro del cambiamento, ma non ci rendiamo conto del nostro. Proiettiamo sull’altra persona quello che non accettiamo di noi: ossia la continua trasformazione. Ogni persona nelle relazioni e grazie alle relazioni si trasforma. Ma anche l’altro evolve, e cambia. Stare con un amico significa stare con una persona in un reciproco adattamento creativo. Una importante pensatrice francese della prima metà del Novecento, Simone Weil, dice che nell’amicizia è importante questo rispetto per la crescita reciproca e per l’autonomia: “se da una delle due parti non v’è rispetto per l’autonomia dell’altra, questa deve troncare il legame, per rispetto verso se stessa”. L’amicizia è tale se è amicizia nella libertà, altrimenti l’amicizia stessa viene intaccata e prima o poi il rapporto si scioglie. Mentre nell’adolescenza l’amicizia è una sorta di fusione, nell’amicizia matura gli amici, dice sempre Weil: “accettano pienamente di essere due e non uno, e rispettano la reciproca distanza creata dal fatto di essere due creature distinte”. L’amicizia, dirà ancora la filosofa, è “il miracolo per il quale un uomo accetta di guardare da lontano, e senza accostarsi, un essere che gli è necessario quanto il nutrimento” (L’attesa di Dio, Adelphi, 2008 ).
Un caro saluto,
Alberto

venerdì 23 ottobre 2009

Noli desiderare omnia quae non fecisti, sed ea quae non potuisti facere


Non rimpiangere tutto quello che non hai fatto, ma quello che non hai potuto fare tu
Amedeo, 16 anni

Noli permittere vitam effluere, sed vive optime


Non lasciare che la vita ti scivoli addosso, vivi al massimo
Laura, 16 anni

Noli sequi aliorum cupiditates, cogita et age sequens cogitationem tuam


Non seguire le passioni degli altri, pensa e agisci seguendo le tue passioni
Samer, 16 anni

Vive, noli permittere ut aliquis te vivat


Vivi, non lasciarti vivere
Elena, 16 anni

Parum cura et procede


Lascia perdere e vai avanti
Matteo, 16 anni

Cura etiam parva


Prenditi cura anche delle piccole cose
Sonia, 16 anni

Gnothi seautón - Nosce te ipsum


Era il motto scritto sul tempio dell'Oracolo di Delfi: Conosci te stesso.
Pare che il primo a pronunciarlo sia stato Talete, uno dei sette savi.
Poi, come è noto, il motto venne associato all'insegnamento di Socrate che invita al dialogo interpersonale in una ricerca senza fine.

Ma chi sono i sette savi?
Secondo Platone (Protagora, 342d-343b)

Talete di Mileto: "Conosci te stesso"
Pittaco di Mitilene: "Sappi cogliere l'opportunità"
Biante di Briene: "I più sono malvagi"
Solone di Atene: "Prendi a cuore le cose importanti" e " Nulla troppo"
Cleobulo di Lindo: "Ottima è la misura"
Misone di Chene: "Indaga le parole a partire dalle cose, non le cose a partire dalle parole"
Chilone di Sparta: "Bada a te stesso" e "Non desiderare l'impossibile"


...Pare che sulla strada della saggezza pratica, nel corso della storia si debbano aggiungere altri 22 saggi...
Questi nuovi "saggi" oggi scrivono in italiano, ma, per gentile concessione, hanno tradotto i loro motti brevi in latino:
... Di tanto in tanto, faranno ascoltare la loro voce...

(ringrazio Antonella V. e Elsa B. per la supervisione)

lunedì 19 ottobre 2009

A cosa servo io?


C'è stato un periodo nella mia vita in cui tutto ciò che facevo era sbagliato. Ero sempre in lite con la mia famiglia, litigate grosse e senza un motivo in particolare; con gli amici era nata una specie di indifferenza che però a me importava. Una sera, durante una delle ormai soventi litigate, mia madre, arrabbiatissima, mi ha detto: "continua a vivere nel tuo mondo, ci credo che non hai fatto nulla di male, perché non fai nulla ".
È vero, a cosa servo io? Se non servo a nulla perché sono nata? Fa male sentire cose del genere dette da una persona che, sono più che sicura, mi reputa la cosa più importante che ha, ma questo l’ho capito dopo. Dopo essermi arrabbiata con me stessa ho capito che non è vero che sono inutile, o per meglio dire me l'hanno fatto capire. Secondo me, se non ci fossi la vita di tutti quelli che mi circondano non sarebbe così... Io alla fine non sono che un anello di una lunghissima catena, questa è resistente proprio perché ci sono anch'io, e non posso essere sostituita, perché qualsiasi altra persona non combacerebbe così bene come me. All'inizio mi sembrava un po' egoistico come ragionamento, ma è l'unico che è riuscito a sollevarmi un po’.


Sara

Cara Sara,
nell’universo tutto si evolve, e in particolar modo nelle sue componenti biologiche. La natura (per i credenti, in base a un progetto di massima di Dio) sperimenta continuamente nuove variazioni degli organismi al fine di migliorarli e di adattarli all’ambiente, che si evolve a sua volta. Ogni essere biologico è, quindi, scelto per questa sperimentazione e fa la sua parte in un contesto molto più vasto (in comunità di individui, o in comunità di specie). Sotto un certo aspetto anche noi esseri umani siamo l’insieme, o una comunità, di tante singole cellule che concorrono ad un fine comune. Non possiamo entrare nella comprensione delle singole motivazioni delle scelte della natura (Famosa è la frase di Einstein, che disse “Dio non gioca ai dadi”; ma Bohr gli rispose “Einstein non dire a Dio quello che deve fare”). Noi dobbiamo considerarci esseri SCELTI dalla natura (o da Dio), e di questo dobbiamo essere orgogliosi, anche se non conosciamo, a priori, il fine della nostra singola esistenza. Gli esseri umani, però, hanno in più delle qualità che li distinguono da tutti gli altri esseri viventi da noi conosciuti, ovvero la COSCIENZA e il LIBERO ARBITRIO. Per un essere umano, la domanda non dovrebbe essere “a cosa servo”; ma, visto che abbiamo razionalità e libero arbitrio, dovrebbe essere: “Che cosa possiamo fare per DIVENTARE PROSSIMO PER GLI ALTRI UOMINI, e per SALVAGUARDARE l’ambiente in cui viviamo, e su cui vivranno le discendenze della specie umana?” Noi non siamo degli oggetti, o degli animali senza coscienza, ovvero dei soggetti passivi. Noi siamo chiamati a MIGLIORARE L’EVOLUZIONE UMANA e LA SUA SERENITA’ in tutti i suoi molteplici aspetti. Ogni singola goccia del nostro operato può concorrere al bene comune e al bene universale. Per i cristiani, la strada è segnata, e in aggiunta a quanto sopra detto, e in accordo con il messaggio evangelico: “Agire con carità e solidarietà verso gli altri uomini, specialmente verso coloro che ne hanno più bisogno, come hanno fatto, ad esempio, San Francesco e Madre Teresa di Calcutta”.
Un caro saluto,
Alessandra


Cara Sara,
Hai ragione, la consapevolezza di “essere un anello di una lunghissima catena” non offre una grande consolazione, e non è che possa sollevare molto il morale. Già, a cosa servi? Il verbo servire richiama il concetto di utile. Ed evoca un modo di pensare tipico della nostra società tecnologica. Spostiamo il concetto di utile dalle cose alle persone senza neppure accorgercene. Il martello è utile, una persona no. Le persone non sono a nostra disposizione come delle cose. Le persone non sono utili o inutili. Sono venute al mondo proprio come siamo venuti al mondo tu ed io. Le persone sono nel mondo e nel mondo devono inventarsi il loro destino, devono decidersi tra alternative diverse e, nel decider-si, decidono di sé. Allora mi vengono in mente cinque cose. 1. La tua presenza è il senso della vita dei tuoi genitori. Il modo di stare al mondo degli uomini è quello dell’esistenza (ex-sisto, sto-fuori), ossia un modo diverso di stare al mondo rispetto a quello degli oggetti. Non siamo semplici presenze, cose tra le cose; “stiamo fuori” da questa condizione, perché grazie alla coscienza abbiamo la possibilità sia di orientarci nel mondo, ma soprattutto di dare significato a ciò che facciamo. Allora tu rappresenti innanzitutto il senso della vita dei tuoi genitori, perché prima di cominciare ad amare te hanno cominciato ad amare il pensiero di una nuova vita di cui prendersi cura. Sei stata parte dei loro segreti, dei loro progetti, di lunghissime telefonate, di chiacchierate senza fine, di notti insonni. I tuoi genitori hanno dovuto ridefinire continuamente il loro rapporto, e nel momento in cui sei venuta alla luce si sono assunti delle responsabilità non solo nei tuoi confronti, ma anche nei confronti della vita in generale. Già il pensiero della tua presenza li aveva obbligati a rispondere della loro vita e a ridefinire le loro priorità. Per dirla con un paradosso (o con un po’ di ironia): “prima che loro “servissero” te, tu sei “servita” a loro” (ma non dirglielo). Pensa: prima della nascita. Quindi fino ad ora hai già fatto moltissimo, anche se non te ne sei accorta. Non sei un anello che si aggiunge ad una catena, o un colore nuovo che si aggiunge alla tavolozza della vita, ma sei una presenza che instaura relazioni addirittura prima della nascita; 2. I tuoi genitori sono diventati tali, grazie a te. Ognuno di noi è fatto di relazioni, e diventa quello che è grazie ai legami con gli altri che, come cordoni ombelicali in partenza e in arrivo, nutrono e modificano le persone. Nessuno diventa quello che è se non si relaziona con le altre persone. Quindi: tua mamma e tuo papà sono tali non solo per il fatto procreativo, ma perché sono in continua relazione con te. È questa relazione che ha consentito (e consente) loro di “diventare” papà e mamma. Il dialogo continuo con te. In questo dialogo, che a volte è faticoso, tra identificazioni e progressivi distacchi, tu costruisci la tua identità, ma anche i tuoi genitori costruiscono la loro. 3. Anche le altre persone (amici, compagni, nonni) conquistano la loro identità grazie alle tue relazioni. La tua presenza è sempre importante, tanto importante che quando il tuo banco è vuoto si sente la tua mancanza; e più sono i giorni di assenza, più i compagni e gli insegnanti sentono la necessità del tuo ritorno.
4. Fino ad ora ho utilizzato il verbo servire senza discriminare i suoi significati, ma ora credo che valga la pena ancora di indicare alcune oscillazioni. Possiamo intendere “servire” sia in modo passivo sia attivo; passivamente, può voler dire “diventare servo”, sottostare a qualcuno, subirne l’azione o il potere; ma in senso positivo, indica invece un’azione volontaria. Allora nelle decisioni della vita (che implicano sempre un decidere-di-noi) possiamo fare in modo che la nostra vita “serva”, cioè abbia valore, proprio se maturiamo la capacità di “servire”, ossia la capacità di prodigarci per qualcuno, di aiutare, di rispondere alle richieste implicite o esplicite di una o più persone. 5. ….Ah, dimenticavo. La tua vita è importante anche per i tuoi insegnanti, per Alessandra, e per me. Perché senza le tue domande e quelle dei tuoi compagni sarebbe diversa anche la mia vita; ad es., potrei viverla in modo più superficiale, mentre i quesiti mi fanno sentire più responsabile, e mi ricordano che il mio compito non è solo quello di trasmettere delle informazioni, ma è quello di crescere insieme a voi.

Un caro saluto,
Alberto