lunedì 22 febbraio 2010

Il senso della vita


Sovente mi capita di pensare al mondo e alla vita prima della mia nascita: c'era già tutto ciò che al giorno d'oggi è presente, magari non alcune evoluzioni nel campo della tecnologia e della scienza, ma il mondo c'era già. Ciò che mancava eravamo noi. A volte mi chiedo perché noi non ci ricordiamo nulla della nostra nascita e dei primi anni della nostra vita, eppure eravamo noi, gli stessi di oggi. La nostra vita è come un ciclo chiuso. Ogni giorno, ogni singolo istante può essere eterno, crescendo di volta in volta. Noi siamo entrati a far parte del mondo, della vita, alla nostra nascita; ma se già tutto esisteva, perché siamo nati? Forse per uno scopo o per un qualche motivo preciso? E perché proprio in questa parte del mondo?
Federica


Cara Federica,
gli esseri umani hanno una doppia memoria, una inconscia che inizia a registrare fin dall’utero materno e una conscia che inizia con l’apprendimento del linguaggio, ovvero dopo i due-tre anni di vita. Famosa è la storia dei quaderni di Marie Buonaparte che fu in analisi da Freud. In questi quaderni, scritti quando aveva circa sei sette anni, Marie aveva scritto racconti fantasiosi, di cui, nell’età adulta, non riconosceva la paternità. Freud intuì che le scene descritte non erano del tutto inventate, ma riportavano i ricordi inconsci di scene a cui ella aveva assistito prima dei due anni; e in particolare scene di sesso tra la sua balia, Rose Poulet (detta Nounou), una contadina della regione di Nièvre che la nutrì al seno per oltre un anno, e il suo amante Pascal. Marie Buonaparte volle verificare questi fatti; contattò Pascal ormai ottantenne e gli fece confessare che aveva avuto rapporti amorosi con la sua balia del tempo, in sua presenza. La memoria conscia di Maria non li riportava, ma la memoria inconscia ricordava tali fatti e ne presentava poi una ricostruzione fantasiosa, come ad es. quella di una donna con la faccia di cavallo.

Per quanto riguarda lo scopo della vita, non vi sono ancora risposte scientifiche certe, e molte religioni e filosofie dicono, al riguardo, cose diverse e spesso contrastanti.
Se noi inquadriamo il problema da un punto di vista strettamente biologico ed evolutivo, un fiore, un frutto, un uccello o un uomo non presentano una particolare motivazione della loro esistenza, relativamente breve o lunga che sia. Li possiamo inquadrare come dei frutti che derivano da semi e che poi maturano e generano altri semi, in cicli continui. Ogni organismo vivente fa parte di una catena evolutiva e concorre a formare delle comunità; per cui ha una sua funzione e uno scopo in relazione ai componenti della propria specie e al complesso della natura biologica. Non dobbiamo, quindi, ricercare lo scopo della nostra vita in noi stessi, ma più realisticamente in funzione degli altri. In questa visione è auspicabile che, in concordanza con il messaggio evangelico cristiano, dobbiamo cercare di capire “come possiamo diventare prossimo per gli altri” e contribuire al benessere psicofisico della nostra comunità e in particolare dei nostri cari; oltre a cercare di perpetuare l’umanità.
Dal punto di vista neuro scientifico, fare delle azioni di carità ci fa star bene e sereni, e ci fa sentire utili e motivati.
Se non comprendiamo fino in fondo lo scopo della nostra vita, per il momento, accontentiamoci di conoscere come meglio impiegarla per il bene dell’umanità.
un caro saluto,
Alessandra


Cara Federica,
Il tumulto dei sentimenti, contrastanti e contraddittori, la molteplicità delle opinioni, la difficoltà di conciliare le varie convinzioni in una coerente visione del mondo, il mutamento improvviso delle certezze, aumentano il nostro senso di insicurezza esistenziale. Siamo condannati alla libertà, ma siamo sempre esposti al dubbio. Talvolta, quando siamo meno assorbiti dai rumori del mondo, ci chiediamo che senso abbia il nostro fare, che ne sarà di noi. Siamo solo un aggregato di atomi, come dicevano epicurei e stoici, o la nostra vita ha un senso che va oltre. Possiamo sapere se esiste un senso della vita esterno all’uomo o siamo condannati a muoverci nel mondo senza mai scoprire il motivo per cui siamo al mondo? “Ogni cosa ha la durata d'un giorno, sia chi ricorda, sia chi è ricordato”, scrive l’imperatore Marc’Aurelio nei suoi Ricordi. E poi aggiunge: “Infatti tutto dilegua e tosto diviene leggendario e presto sarà anche travolto totalmente dall'oblio. Io, naturalmente, alludo a quelli che, in certo qual modo, rifulsero per straordinario splendore; ché, riguardo agli altri, appena esalato l'ultimo respiro, son «dileguati, ignoti»”. E allora consiglia di accettare il destino, di accogliere con la ragione quanto non piace alla nostra sensibilità: “Non smettere di osservare come tutto abbia origine da una trasformazione, e abituati a comprendere che la natura non tende che a trasformare le cose esistenti, a crearne altre della medesima specie, perché ogni cosa è in certo qual modo il germe di quella che nascerà da essa”.
Ma ogni cosa è solo materia per generare nuove forme, gli atomi sono solo pezzi di un puzzle che si ricompongono in modi diversi a formare nuove sagome come in un semplice gioco combinatorio? La ragione può anche accettare la razionalità delle proposizioni degli stoici, ma la volontà dell’uomo e le emozioni spesso respingono o rigettano quelle conclusioni. L’emotività, gli affetti, ma anche il senso della giustizia impongono alla ragione di cercare nuove risposte, la sospingono ad indagare ancora e a non arrendersi. Il grande psichiatra viennese Victor Frankl, in Come ridare senso alla vita, 2007, racconta un episodio di quando era ragazzo: “Sono passati ormai cinquant'anni da quando il mio professore di storia naturale alle scuole medie, camminando su e giù per la classe, affermava: « La vita, in fin dei conti, non è altro che un processo di combustione, di ossidazione ». Al che io, senza chiedere la parola, balzai in piedi e con foga gli tirai secca questa domanda: «E va bene; ma allora che senso ha tutta la vita?»”.
Sentiamo il vuoto esistenziale, qualcuno dice l’assurdità o la gratuità dell’esistenza, ma siamo come dei naufragi abbandonati nel mare della vita. Il senso di un oggetto va oltre i pezzi di cui è formato: anche se ho tutti i pezzi di un orologio, ingranaggi, rotelle e lancette, la loro somma non fa ancora un orologio. Questo vale anche per l’uomo. Non è nella somma delle sue componenti che si trova il senso della vita. Al di là dei significati religiosi che si possono attribuire a questa domanda e che, se vuoi, prenderemo in considerazione un’altra volta, per ora cerchiamo di rimanere nell’ambito del finito. Il senso dell’esistenza non può essere dato da un’altra persona. Oppure ci può essere suggerito, indicato, consigliato, per una ragione o per un’altra. Il senso della vita però deve essere trovato. Ognuno trova il suo. Diceva Nietzsche: « Chi ha un perché per vivere, sopporta qualsiasi come vivere». Vale a dire: chi riesce a dare un senso alla sua vita, è aiutato da questa consapevolezza a affrontare con successo la complessità delle situazioni in cui deve agire e anche i suoi smarrimenti interiori. Spesso dobbiamo solo essere incoraggiati a ricercare un significato per la vita, perché talvolta i significati che le abbiamo attribuito si logorano e non reggono la prova del tempo e delle esperienze. Io non credo che il senso della vita si comprenda alla fine, il senso della vita è ciò che guida la tua esistenza e ti permette di viverla pienamente. In questo modo, quando la nostra fiammella si spegnerà, sarai comunque certa di aver vissuto.
Un caro saluto,
Alberto

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