lunedì 21 dicembre 2009

Rapporti difficili


Da molto tempo ormai ho una domanda che mi tormenta e, anche se non so se voi potrete darmi una risposta, vorrei esporvela...la mia gioventù è stata caratterizzata da un pessimo rapporto con mia madre.
Credo che non ci sia stato un giorno in cui non abbiamo litigato e abbiamo avuto una discussione serena. Infatti, ogni giorno, quando lei tornava a casa stressata dal lavoro, ogni occasione era buona per attaccare briga e sfociare come al solito in una discussione in cui mi rinfacciava fatti di cui io non avevo colpa, e molte volte arrivavo anche a essere malmenato senza motivo. Molti sono stati anche gli episodi in cui mi sono trovato sbattuto fuori di casa e, essendo i miei genitori separati, andavo a passare del tempo insieme a mio padre fino a quando poi mia madre, scusandosi, mi chiedeva di tornare a casa. Io ho sopportato finché ho potuto con tutte le mie forze, ma non è servito a niente perché la situazione non è cambiata e alla fine poco più di un anno fa sono riuscito a trasferirmi a vivere con mio padre e la mia custodia è passata finalmente sotto la sua potestà. Dopo il trasferimento da mio padre io non ho più sentito mia madre per molto tempo fino a quando quasi un anno dopo si è rifatta viva e allora abbiamo provato a riallacciare i rapporti solo che io non riesco.
Infatti ogni volta che la vedo o che la sento al telefono non so il perché ma cambio: la mia voce diventa rabbiosa e inizio a sentirmi strano dentro, sento che c'è qualcosa che mi blocca dal riallacciare i rapporti con lei… La mia domanda è questa: "Cosa posso fare per evitare questo blocco? ho paura di avere talmente tanta rabbia repressa da non riuscire neanche più a ragionare a mente lucida e per questo vorrei una risposta da una persona estranea alla vicenda. Grazie.

Salve, vorrei chiedervi se poteste rispondere a questa mia domanda sul blog a due voci per 2 motivi;
1) perché io ogni giorno mi trovo ad essere criticato dalle persone che conosco per il comportamento che sto tenendo con mia madre, solo che non riesco proprio a ignorare questo mio blocco e quindi mi sento male;
2) perché se mai qualcuno si trovasse nella mia stessa situazione, almeno leggendo la risposta anche lui saprebbe come fare o almeno a capire perché gli capita;
Alessandro


Caro Alessandro,
penso di comprendere il tuo travaglio interiore. Voglio partire dal POST di “Verità a Confronto”:
http://nuoveteorie.blogspot.com/2009/02/ama-il-prossimo-tuo-come-te-stesso-si.html
dal titolo: AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO. Si può comandare l’amore?
Il comandamento «Ama il prossimo come te stesso» (Lv 19,18) era già presente nel vecchio testamento. Nel precetto del Levitico, scritto in greco, però, il verbo amare REGGE ECCEZIONALMENTE IL DATIVO. Ciò avviene perché ha a che fare con l'operatività. Il comandamento, infatti, significa: AGISCI amorosamente verso il tuo prossimo. Se traduciamo, allora, il comandamento come AGISCI caritatevolmente, lo collochiamo nell’ambito del LIBERO ARBITRIO, della VOLONTA’ e quindi della RAGIONE. Con questa interpretazione non vi è l’alibi di non riuscire, a volte, ad amare il prossimo. Con la ragione puoi importi di rispettare la legge umana o divina (ovvero agire con carità) anche se i tuoi sentimenti irrazionali inconsci sono momentaneamente contrari.
Si, le emozioni e i sentimenti appartengono alla sfera inconscia e non si possono comandare con la ragione. Per cui hai perfettamente ragione quando “ti senti strano dentro”. Le emozioni sono legate ai ricordi, e per te sicuramente brutti ricordi. E’ facile per gli altri dire che hai torto. Se non si provano anni ed anni di traumatiche esperienze non si può comprendere quello che provi. Io non ti chiedo, quindi, di far finta che nulla sia successo, ma di PROVARE pian piano ad AGIRE per tentare una riconciliazione. Per far questo devi cercare di far prevalere la tua parte razionale. Devi considerare tua madre come “un’ammalata”, come anche lei “una vittima” probabilmente di una separazione che non ha mai accettato fino in fondo (indipendentemente da chi è la colpa); ovvero devi cercare di avere CARITA’ verso di lei. La CARITA’ si deve avere verso coloro che hanno bisogno (e non verso il prossimo in generale); e tua madre, anche se può avere tutte le colpe, ha bisogno di carità.
Forse, se prendi il problema sotto questo aspetto, come un atto altruistico in senso evangelico, potrai pian piano mitigare le tue emozioni negative, frutto di tanti ricordi dolorosi. Certo, non sarà facile, ed hai tutta la mia comprensione; ma sono altrettanto sicura che anche tu soffri di questo stato di cose, perché credo, da quanto mi hanno detto persone che ti conoscono tu sei una brava e buona persona, degna di ogni rispetto.
Perdona, quindi, anche coloro che ti criticano. Non sanno bene quello che dicono; ma prendi le loro parole come un atto altruistico verso di te, poiché capiscono, almeno, che anche tu soffri di questo stato di cose.
Le emozioni e i sentimenti si possono allenare con costanza e fiducia. Non ti chiedo, quindi, di cambiare atteggiamento da un giorno all’altro; ma di TENTARE e di tentare più di una volta. L’importante, nella vita, non è NON CADERE, ma avere la forza di RIALZARSI OGNI VOLTA con buona volontà. Sono convinta che ci puoi riuscire. Certo, non sarà indolore, ma ne varrà la pena.
Se, vorrai pormi altre domande, sono a tua disposizione e potrai contare su di me. Ti ringrazio per il tuo coraggio e per il tuo altruismo che hai avuto nel far pubblicare questa tua lettera, perché credo che potrà servire a tanti altri.
E, parlando in termini generali, le colpe difficilmente sono solo da una parte; per cui se qualcuno dei lettori si trovasse in condizioni similari dovrebbe fare, anche, un approfondito esame di coscienza al fine di individuare eventuali proprie mancanze nel rapporto incrinato. Anche il riconoscere i propri errori serve a risolvere meglio la propria situazione emotiva.

Un caro ed affettuoso saluto,
Alessandra


Caro Alessandro,
Ti voglio raccontare una storia, così, per iniziare. È il punto di partenza di un bel racconto di Torey L. Hayden intitolato “La foresta dei girasoli”, appena pubblicato dall’editore Corbaccio (2009).
Lesley e Megan sono due sorelle. Una ha 17 anni, l’altra è più piccola. Un giorno mentre la mamma sta lavando i piatti, voltata verso il muro, le due sorelle hanno un banale litigio. Lesley si lamenta perché, mentre mangiano il pane integrale, la sorella più piccola fa le briciole sul tavolo e poi le tira su con la punta della lingua. Allora chiede l’intervento della madre. La madre si volta, e dice qualcosa. Le due bambine, poi, nel contendersi alcuni oggetti, fanno cadere rumorosamente una sedia a terra. La mamma, allora, sospende il suo lavoro e si volta. Entrambe rimangono in silenzio.
Ecco il breve dialogo:
“Stancamente, la mamma si passò una mano tra i capelli. « Che cosa avete, voi due? Siete sorelle. Perché litigate sempre? »
Non rispondemmo. Non c'era niente da rispondere.
«Io non vi capisco », continuò la mamma.
«Perché non siete contente? Fate una bella vita. O'Malley e io vi vogliamo bene. Non vi facciamo mancare niente. Eppure non siete contente. »
«Noi siamo contente », ribatté Megan.
«Era solo per ridere, mamma », aggiunsi io.
«Non volevamo litigare sul serio. Vero, Megs? Stavamo solo scherzando. »
«Io non vi capisco. »
«Noi siamo contente, mamma », ripeté Megan, e c'era una disperazione sottile nella sua voce. «Vedi? Vedi? Sto sorridendo. Sono contenta. Io e Lesley siamo contente, sul serio. Non piangere, d'accordo? »
Ma era troppo tardi. La mamma si prese il volto tra le mani.

Mio padre li chiamava “momenti”. Quei momenti della mamma.”


Questo, per dire che a volte non è facile capire le reazioni delle persone. Vorremmo che gli adulti fossero esemplari o almeno prevedibili, ma non sempre le cose accadono secondo le nostre aspettative. Così dobbiamo cominciare a pensare che dietro le figure dei genitori, anche dietro le parole talvolta idealizzate di mamma e papà ci sono delle persone e che, dietro alle persone, ci sono delle storie. Personali e talvolta misteriose. Ed è solo la storia della vita di ciascuno che può orientarci per tentare di comprendere alcune reazioni.
A tue spese, e molto presto, hai cominciato a conoscere che non ci sono solo le sofferenze del corpo, visibili ed esibite a tutti, come la frattura di un arto, ma anche altri patimenti: mali che nel corso del tempo sono stati definiti i mali dell’anima; spesso invisibili, ma profondi e reali, sono sofferenze che emergono in certi momenti, in certi gesti, in certe parole. Ferite talvolta immense e che nessuno conosce, abissi di sofferenza che non consentono all’umore di risalire alla superficie e che, come vortici di una corrente, trascinano pensieri, inclinazioni e comportamenti verso un fondo buio da cui a volte emergono gesti scomposti, comportamenti inadeguati, parole sconvenienti. E molto spesso violenti. Come la violenza che hai subito tu. Incomprensibile perché immotivata, indecifrabile perché spropositata, ingiusta perché sempre eccessiva e sbagliata. In ogni caso enigmatica perché proveniente proprio dalla mamma. Una violenza dunque che fa doppiamente male, proprio perché all’interno di una relazione necessaria. Per molto tempo questa sofferenza è stata per te talmente grande da essere subita e probabilmente difficile da tradurre in parole. Certamente hai sofferto e, da quello che scrivi, ancora oggi, sia pure in modo diverso, questa relazione difficile ti tormenta.
Però, caro Alessandro, dalla sofferenza bisogna uscire. Se sono stati feriti i tuoi pensieri e le tue emozioni, allora dovrai prenderti cura sia dei pensieri sia delle emozioni.
E per compiere questo passaggio abbiamo bisogno della ragione.
Vorrei allora dirti alcune cose sulle emozioni che provi e sul sentiero razionale da percorrere.
Innanzitutto: Non ti sentire in colpa. Se in questo momento non riesci ancora a stabilire una relazione accettabile, questo non dipende da una tua inadeguatezza. Meno che mai da una tua inadeguatezza morale. So che sei una persona buona e corretta nell’agire. Anche tu però hai bisogno di una difesa da ciò che potrebbe ancora farti male. Quando uno ha un livido da qualche parte, basta anche una leggera pressione di un dito a scatenare un forte dolore. Uno cerca di proteggere la parte dolente. A volte possono apparire misure eccessive, ma sapendo che il dolore è forte uno preferisce proteggersi. In questo momento ti stai semplicemente difendendo da quel dito che potrebbe farti più male. Gradualmente, il tempo e una valutazione della vicenda in grado di tener conto di altri particolari ti consentiranno di accogliere una nuova prospettiva meno dolorosa nella valutazione della tua vita. Come nella storia iniziale, i “momenti” che sembrano irrazionali e non avere spiegazione, con il tempo ti riveleranno un vissuto complesso e non sempre felice anche di tua madre. Pensa a ciò che ci accade quando andiamo al cinema. A volte vediamo certi personaggi che ad una prima sensazione sono antipatici, insopportabili o hanno modi indisponenti. Ma poi, accompagnati dal racconto, riusciamo poco per volta a comprendere quali sono i problemi o i vissuti che li attraversano. E sentiamo che il nostro giudizio fortemente negativo viene mitigato dalla conoscenza della loro storia. Una maggiore conoscenza anche dei vissuti di tua madre ti aiuterà a giudicarla meno negativamente.
Il Tempo: il tempo è prospettiva. Man mano passa il tempo è come se ci si sollevasse con lo sguardo da una eccessiva vicinanza che non permette di vedere ad una posizione che permette di cogliere forme e trame. Una prospettiva che tiene conto di più elementi consente una visione d’insieme più realistica. Forse il tempo riuscirà a farti considerare in modo diverso quello che oggi, per l’estrema vicinanza, è ancora troppo scomodo e doloroso da accettare. Quando insieme a una maggiore distanza temporale aumenterà la tua conoscenza di alcuni problemi, allora riuscirai a dipanare meglio quello che oggi è complicato e oscuro.
Gli amici: chi non è stato attraversato dalla violenza e da rapporti che hanno guastato la relazione, da legami infelici e strazianti, non può capire completamente quello che ti succede. Alle emozioni ferite bisogna dare occasioni per rimarginarsi, ai pensieri tormentati il tempo calmo della riflessione e della comprensione, perché il vissuto d’angoscia necessita di una lenta fase di decompressione. Come avviene ai sub che devono risalire: vorrebbero uscire rapidamente, ma perché l’uscita non comprometta la salute hanno bisogno di una lenta risalita e di un momento di sosta per permettere all’organismo di riadattarsi alla nuova condizione. Ma anche le parole dei tuoi amici sono importanti: ci ricordano che è essenziale essere positivi e che la comprensione è più potente della rabbia.
Tua madre. Non devi pensare che la sofferenza sia stata prodotta intenzionalmente, consapevolmente. Caro Alessandro, ci sono vite che si smarriscono, dispiaceri che abbattono oltre misura, affanni che logorano, pene intime che conducono in strade a senso unico. Tutte le sofferenze, però, chiedono comprensione. Purtroppo, anche nel mondo degli adulti ci si smarrisce e, a volte, da certi labirinti si fatica ad uscire.
Tu. Abbi fiducia in te stesso e nelle tue forze. Lo so che ci vuole una grandissima robustezza per reagire e può darsi che in questo momento a te venga richiesto troppo. Ma io mi rivolgo a te, non per dirti cosa fare adesso, ma perché tu dovrai lavorare su queste riflessioni e sulle tue emozioni. Punta sulla tua capacità di essere positivo e ti accorgerai che la capacità di comprendere è un’ energia potente e sviluppa una resistenza anche al dolore. Spesso è un medicamento efficace. Anche se non ora, ma quando ti sentirai, non chiudere la porta con chi soffre. La ragione ti aiuterà a capire che certe parole appartengono ad un linguaggio malato, che certe frasi abbozzate non definiscono te, ma sono espressioni di sofferenza e manifestazioni della pena di chi le pronuncia. Un po’ come è accaduto nella pittura. Per un certo tempo si è pensato che sulla tela fossero riprodotti semplicemente diversi oggetti, poi si è cominciato a pensare che, indipendentemente da tutto ciò che viene raffigurato, quello che vediamo sulla tela altro non è che il soggetto che si rivela. Quando riuscirai a creare una distanza tra le parole deformanti pronunciate da chi soffre e la tua persona a cui non si addicono, quando riuscirai ad accettare che certe frasi invece di essere etichette “vere” o descrittive siano invece i colori con cui si esprime il dolore, forse riuscirai ad accettare anche la sofferenza di tua madre e a sciogliere un po’ di quella rabbia giusta che porti ancora dentro. A una persona che ha una gamba rotta non chiediamo di correre, a chi è lacerato dentro non poniamo obiettivi troppo alti.
Un grandissimo augurio per una buona vita e un caro saluto,
Alberto

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