lunedì 16 novembre 2009

Una vita felice



C'è un interrogativo che mi è nato ultimamente e riguarda il futuro. Sin da più piccola ho sempre pensato di voler studiare, andare all'università e poi trovare un buon lavoro, e una parte di me lo vuole ancora. Crescendo poi, però, mi sono posta un interrogativo e cioè se sia più soddisfacente dedicare una buona vita allo studio e al lavoro, o se invece è più saggio pensare al proprio futuro in un senso più rivolto alla famiglia. Ora come ora la mia soluzione è quella di intraprendere gli studi universitari e poi se possibile trovare un lavoro che mi permetta di conciliare lavoro e famiglia al meglio. La domanda quindi è: “non rischiamo di vivere infelici pensando troppo ai nostri singoli obiettivi, rischiando di perdere le cose belle della vita?”. “Vive più felicemente colui che dedica la propria vita allo studio e al lavoro o chi la dedica alla famiglia?".
Sarah



Cara Sarah,
la biodiversità è sicuramente una carta vincente dell’evoluzione biologica. Non esistono due organismi biologici identici (ogni DNA è unico) e questo fa sì che, anche a livello di percezione della realtà, ognuno la percepisca e la interpreti in modo differente. Noi percepiamo l’ambiente con cui veniamo in contatto con i nostri cinque sensi (qualcuno parla anche di un sesto o settimo senso), tramite “diversi linguaggi” fatti di vibrazioni e di frequenze; e da questi input, interpretiamo e ci costruiamo una nostra realtà che non coincide esattamente con quella degli altri. Sono stati Maturana e Varela, due scienziati sudamericani, ad evidenziare questo aspetto; e da un libro ON LINE di Psicosomatica dell’Università di Torino (http://www.sicap.it/merciai/psicosomatica/badjob/Luca.pdf), che consiglio vivamente di leggere, rileviamo che: “l’accoppiamento strutturale dei sistemi umani avviene all’interno dei domini linguistici, intesi come l’insieme di tutti i comportamenti linguistici di un organismo. È attraverso questa elaborazione dell’accoppiamento strutturale che diviene possibile fare distinzioni e dar forma a vita agli oggetti. Dunque, le osservazioni compiute da un individuo (ogni organismo capace di fare distinzioni è un osservatore) non possono cogliere verità oggettive sul mondo, perché esse sono sempre soltanto interazioni fra la struttura dell’organismo osservatore e il suo medium.
Ciò che per Maturana e Varela diviene importante capire è che la percezione non è e non può mai essere oggettiva, quindi tutte le osservazioni hanno uguale validità, anche gli elefanti rosa che l’alcolista vede nelle sue allucinazioni. Ne consegue che, in quanto essere umani, abitiamo in un Multiverso più che in un universo. Cioè, ognuna delle molteplici distinzioni che creiamo nella nostra interazione strutturale con l’ambiente è assolutamente legittima e non in contraddizione con altre distinzioni tracciate dallo stesso o da un altro sistema vivente.
Gli studi di Maturana e Varela, a detta degli stessi autori, portano con sé un obbligo morale, ossia il ricordarsi sempre che la certezza di un’obiettività e di un’oggettività è una tentazione cui non bisogna indulgere e che quindi il mondo che ciascuno di noi vede non è il mondo ma solo un mondo con cui veniamo a contatto insieme ad altri:
[…] farsi veramente carico della struttura biologica e sociale dell’essere umano […] ammettere che il nostro punto di vista è il risultato di un accoppiamento strutturale in un dominio di esperienza valido tanto quanto quelli del nostro interlocutore, anche se il suo ci appare meno desiderabile. […] guardare l’altro come uno uguale a noi, in un atto che generalmente chiamiamo di amore. [H. Maturana e F. Varela, 1987, pagg. 203-204]”

In parole più semplici, ogni uomo non solo percepisce e si costruisce una realtà diversa, in quanto biologicamente è diverso da tutti gli altri, ma anche il suo bagaglio del DNA e delle sue esperienze sono diversi, per cui ognuno ha una diversa sensibilità alla vasta gamma di emozioni e piaceri di cui parlo nel POST sull’amicizia, che sono quelli che determinano la felicità e la serenità.

Per essere felici (e quindi non perdere le cose belle della vita), non vi sono regole uguali per tutti, ma variano in base a mille fattori personali.

Dal punto di vista della psicoanalisi vi sono degli schemi molto generali:
1) Per essere felici bisogna conoscere cosa si vuole sia a livello conscio sia a livello inconscio e quindi FARLO!
2) Mai si è troppo vecchi o troppo giovani per essere felici.
3) In alternativa, il sogno è lo stato che più ci avvicina alla felicità.

Dal punto di vista delle neuroscienze, invece, segnalo il link:
http://www.repubblica.it/2007/02/sezioni/persone/monaco-felice/monaco-felice/monaco-felice.html
che ti riassumo brevemente: “L'uomo più felice del mondo è un monaco buddista francese, Matthieu Ricard.
Alcuni scienziati dell'università del Wisconsin hanno sottoposto il monaco a una serie di test scientifici arrivando a un responso inequivocabile: Monsieur Ricard può essere considerato "Mr Happy", l'uomo più felice del mondo.

Il gruppo di neuroscienziati dell'ateneo americano, guidati dal professor Richard K. Davidson, ha monitorato l'attività cerebrale del monaco con 256 sensori e una serie di scanning in profondità. La neuro plasticità è la disciplina che studia la strabiliante capacità evolutiva e di adattamento del cervello - misura l'attività della corteccia pre-frontale, perché più alta è l'attività di quella regione della testa e più l'individuo osservato è ritenuto in pace con se stesso e con la realtà. Se i volontari sottoposti a questo esperimento hanno riportato in genere valori tra +0,3 (disperazione) e -0,3 (beatitudine), "Mr. Happy" è arrivato ad uno strabiliante -0,45.

Ma visto che lui è riuscito a raggiungerla, qual è la ricetta per la felicità suggerita dal monaco?
Secondo quanto scritto in un libro pubblicato di recente a Londra, Matthieu Richard - sessanta anni, una brillante carriere di biologo abbandonata per abbracciare il buddismo e ritirarsi in Nepal - la felicità è soprattutto una questione di igiene mentale. L'uomo, infatti, è una creatura malleabile, capace di grandi trasformazioni. Per questo, se riesce a modificare in modo positivo e altruistico il treno dei pensieri, può migliorare la percezione e l'interpretazione del mondo. Felici, insomma, si può diventare. Ma molti non lo sanno: "Molti essere umani - spiega Ricard - vivono come clochard, inconsapevoli del tesoro sepolto sotto la loro baracca".

Come fare, dunque, per essere felici? Molto autocontrollo. Mr Happy non crede infatti assolutamente che dar libero corso alle proprie emozioni intime sia una salutare valvola di sfogo. "Un attimo di rabbia - ammonisce - può distruggere anni di pazienza".

In conclusione, se oggi ti senti di intraprendere gli studi universitari e poi se possibile trovare un lavoro che ti permetta di conciliare lavoro e famiglia al meglio, molto probabilmente per te è la soluzione giusta, ma non è detto che lo sia anche per le altre donne; e, in ogni caso, non trascurare l’altruismo sociale verso coloro che ne hanno bisogno, nei limiti delle tue possibilità, e in un contesto composito delle tue esigenze e di quelle della tua eventuale famiglia.

Un caro saluto
Alessandra



“La vita umana non sarà mai capita, se non
si terrà conto delle sue aspirazioni più alte”.


Cara Sarah,
Verso la metà del secolo scorso lo psicologo statunitense Abraham Maslow ha cercato di studiare la personalità umana e le condizioni della felicità e della realizzazione dell’uomo. Ha così pubblicato un bel libro dal titolo Motivazione e personalità ([1954, 1970], Armando Editore, 2000) in cui propone anche una importante gerarchia di bisogni che le persone devono appagare nella loro esistenza per poter condurre una buona vita. Alla base della piramide, che oggi prende il suo nome (piramide di Maslow), ci sono i bisogni più urgenti, i bisogni fisiologici: (fame, sete, sonno, potersi coprire e ripararsi dal freddo), ossia i bisogni fondamentali, legati alla sopravvivenza. Maslow scrive che “sono i più prepotenti di tutti i bisogni”: Se non vengono appagati questi, tutti gli altri passano in secondo piano. Chi è da un po’ che non mangia, ovviamente, desidera solo il cibo, ecc. Gratificati i bisogni essenziali, si presentano però altri bisogni: i bisogni di sicurezza. Di fronte al mondo e ai pericoli che la vita ci prospetta, le persone hanno bisogno di protezione e tranquillità. Maslow elenca questi bisogni: “sicurezza, stabilità, dipendenza, protezione, libertà dalla paura, dall'ansia, dal caos; bisogno di struttura, di ordine, di legge, di limiti, di un forte protettore”. Ad un gradino più alto troviamo i bisogni di affetto, di amore e di appartenenza: le persone desiderano relazioni d’affetto, sentono il dispiacere per la mancanza di amici e di persone care, avvertono la necessità di sentirsi parte di un gruppo, di appartenere a qualcuno, di essere amati e di amare e di cooperare con altri. Dopo i bisogni di appartenenza vi è il bisogno di stima; anzi, di una doppia stima: quella di una valutazione positiva di se stessi (autostima) e quella di una valutazione positiva da parte degli altri: ogni persona sente infatti il bisogno di avere successo, padronanza, competenze, ma riconosce anche il valore della stima sociale, e dunque sente l’esigenza di essere rispettato, apprezzato, approvato e non solo di sentirsi competente. Però, per quanto tutte queste esigenze siano importanti, le persone hanno un’urgenza più importante: quella di realizzare la propria vita. Pertanto in cima alla scala dei bisogni Maslow pone il bisogno di autorealizzazione. Questo bisogno è l'esigenza di realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie aspettative. Maslow scrive: “attualizzare ciò che è potenziale”, o “diventare tutto ciò che si è capaci di diventare”. Ogni uomo sente dunque l’esigenza di attuare le proprie migliori potenzialità, culturali, affettive e relazionali.
I bisogni, però, sono diversi da persona a persona. Maslow scrive: “in un individuo possono assumere la forma del desiderio di essere una madre ideale, in un altro possono esprimersi atleticamente, in un altro esprimersi nel fare quadri o invenzioni”. Abbiamo il desiderio di conoscere e capire, abbiamo bisogni estetici, ma non tutte le persone hanno le stesse priorità. In alcune persone ad esempio l’autostima è più importante dell’amore; altre persone particolarmente creative sentono invece l’impulso alla creatività più importante di altri, e riescono a realizzarsi anche se ad esempio manca loro il soddisfacimento di bisogni che da altri sono ritenuti fondamentali.
Allora ciò che diventa importante è conoscere i nostri bisogni in un determinato momento e saper distinguere tra le cose a cui attribuiamo più valore e quelle meno indispensabili. Ad esempio sappiamo che alcuni bisogni sono inconsci altri consci e anche che la motivazione cosciente può essere diversa da persona a persona e da cultura a cultura. Talvolta, però, i nostri bisogni sono esigenze che altri si aspettano da noi. Non ogni nostro bisogno è veramente tale; molti desideri che sembrano consentirci di ottenere la felicità sono aspirazioni talvolta della maggioranza delle persone che vivono accanto a noi, del gruppo di appartenenza o di riferimento e che, per abitudine, per desiderio di compiacere, o semplicemente per timore di essere rifiutati, assecondiamo. Ma ci accorgiamo presto che alcuni bisogni importanti non conducono alla nostra felicità e non producono gli effetti sperati. Una persona sana, secondo l’autore, è quella che “è motivata primariamente dal suo bisogno di sviluppare e di attualizzare tutte le sue potenzialità e capacità”. Allora molto dipende dai significati che, di volta in volta, attribuiamo alle cose. Se per noi è indispensabile avere una famiglia, siamo disposti a qualche rinuncia, perché sappiamo che la nostra realizzazione passa attraverso la realizzazione di una vita di coppia con la finalità di abbozzare una nuova famiglia.
Se per noi è importante ottenere un riconoscimento attraverso lo studio o il lavoro ad esempio, siamo disposti a sacrificare molto tempo per ottenere quel risultato. Ma l’urgenza nel soddisfacimento dei bisogni, col tempo, cambia. Ci sono bisogni che un tempo ci sembravano imprescindibili, come imperativi irrinunciabili, di cui gradualmente abbiamo ridimensionato l’importanza; oppure vi sono bisogni che compaiono in tempi più recenti e che in passato avevamo escluso di poter avere. Dico questo perché una persona sana è una persona complessa, che cerca di gestire molti aspetti della sua vita prendendosi cura dei vari aspetti di sé. È vero che spesso le scelte conducono a drastiche alternative, a decisioni risolutive e inconciliabili, ma è anche vero che gli obiettivi non sempre, o non necessariamente, si escludono a vicenda. Una vita sana è una vita di una persona che si prende cura dei vari aspetti di sé, in un lavoro parallelo. Forse è importante mentre si vive prendere in considerazione molti aspetti della vita e non concentrarsi in modo univoco su una cosa. Ossia ci si può dedicare allo studio, coltivando una buona vita di relazione, ampliando i propri interessi e le proprie conoscenze. Ognuno di noi non vive isolato, ma in una serie di rapporti: la scuola, il lavoro, gli amici, gli affetti cari, la famiglia, gli hobbies. La vita ci chiede di fare delle scelte: ci saranno momenti in cui dovremo sacrificare un po’ un aspetto della nostra vita, altre volte un altro. Nel tuo caso, credo che le alternative che presenti (università, famiglia) siano diverse, ma non contraddittorie. Ossia scegliendo la prima (che ti auguro), non annulli la seconda; decidi solo provvisoriamente di rinviarla. Nel frattempo vivi intensamente le relazioni interpersonali, offri la tua vitalità e le tue energie alle persone che incontri; la forza della relazione ti aiuterà anche a reggere l’impegno dei tuoi studi. È possibile che tra le amicizie con i tuoi compagni attuali o futuri e con altre persone che via via conoscerai, maturerai una legame bello e profondo a cui potrai dedicare anche più tempo. “L'auto-realizzazione, diceva Maslow, è priva di significato se non ci si riferisce ad un futuro attivo in ogni momento”(Verso una psicologia dell'essere, Ubaldini 1971).

Un caro saluto,
Alberto

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