lunedì 23 novembre 2009

Identità e cambiamento



L'altro giorno stavo osservando delle foto di famiglia di cui non ero mai stato a conoscenza; alcune di esse erano molto vecchie, e tra queste ho trovato una foto di mia nonna; però una non subito ho capito chi fosse... solo analizzando i tratti somatici e la sua espressione ho successivamente capito che era lei, anche se tuttavia mi sembrava di non conoscere la persona ritratta in quella foto... Subito in me è spuntata una domanda che più volte mi sono posto: è possibile che una persona cambi radicalmente o è valido il proverbio: "il lupo perde il pelo, ma non il vizio"? Sinceramente non ho ancora trovato una risposta a questo quesito, perché proprio nel momento in cui penso che il mio giudizio sia orientato verso uno dei due poli, accade qualcosa che mi riporta a quel bivio mentale e i miei dubbi ricominciano ad imperversare nella mia testa...
Mattia



Caro Mattia,
i metafisici e, a volte, i filosofi del linguaggio e della mente, si pongono queste domande:
"Se le parti di un oggetto sono rimpiazzate una dopo l’altra, in modo che l’oggetto finale sia composto da tutte nuove parti, come nella Nave di Teseo, in che modo i due oggetti sono lo stesso oggetto?"
Vediamo quindi cos’è Il Paradosso della nave di Teseo.
"Questo paradosso esprime la questione metafisica dell'effettiva persistenza dell'identità originaria, per un'entità le cui parti cambiano nel tempo; in altre parole, se un tutto unico rimane davvero se stesso (oppure no) dopo che, col passare del tempo, tutti i suoi pezzi componenti sono cambiati (con altri uguali o simili).
Si narra che la nave in legno sulla quale viaggiò il mitico eroe greco Teseo fosse conservata intatta nel corso degli anni, sostituendone le parti che via via si deterioravano. Giunse quindi un momento in cui tutte le parti usate in origine per costruirla erano state sostituite, benché la nave stessa conservasse esattamente la sua forma originaria.
Ragionando su tale situazione (la nave è stata completamente sostituita, ma allo stesso tempo la nave è rimasta la nave di Teseo), la questione che ci si può porre è: la nave di Teseo si è conservata oppure no? Ovvero: l'entità (la nave), modificata nella sostanza ma senza variazioni nella forma, è ancora proprio la stessa entità? O le somiglia soltanto?
Tale questione si può facilmente applicare a innumerevoli altri casi; per esempio alla scrupolosa conservazione di alcuni antichi templi giapponesi (anch'essi principalmente in legno, come la nave di Teseo), per i quali ci si può domandare se siano ancora templi originali.
Si può anche rivolgere il paradosso riguardo l'identità della nostra stessa persona, che nel corso degli anni cambia ampiamente, sia nella sostanza che la compone sia nella sua forma, ma nonostante ciò sembra rimanere quella stessa persona.
Gente con le idee chiare riguardo alla risposta da dare al paradosso di Teseo sono sicuramente gli shintoisti giapponesi. Infatti il loro tempio più importante, il tempio di Ise, costruito in legno, ogni venti anni viene abbattuto e ricostruito completamente con lo stesso disegno architettonico su un terreno a fianco del precedente. Tale cerimonia è detta shikinen sengu, al fine di ricordare che tutto muore e risorge, ed il tempio da essi è considerato originale ma rinato.

Forse la vera identità si costruisce nel cambiamento, come la vera nave di Teseo che si rinnova con legno nuovo per non affondare.
Nel corso della nostra vita, dall’infanzia sino alla fine dell’esistenza, c’è un nucleo essenziale che permane identico? Com’è possibile se ogni sette anni le nostre cellule si rinnovano completamente? Come è possibile se il nostro corpo cambia? Non mutano forse, con lui, anche i nostri pensieri e il nostro modo di vedere il mondo?
Ci hanno insegnato che l’identità ha origini di tipo genetico, ma si sviluppa anche per imitazione di modelli genitoriali, di sesso, di gruppo di appartenenza, etc.
"

Eric Kandel, nobel del 2000 per la medicina e le neuroscienze, è stato lo scopritore del funzionamento della nostra memoria, che usa le sinapsi tra i neuroni e le funzioni trascrizionali del DNA per trasmetterla in parte ai discendenti. Kandel ha affermato che: IL GOGITO ERGO SUM di cartesiana memoria deve essere aggiornato in:
Io sono quello che sono perché mi ricordo di cosa ho pensato”.
Da qui, per un essere umano, la MEMORIA è il collante che COSTRUISCE il “SE AUTOBIOGRAFICO” e che quindi ci dà la nostra IDENTITA’ (per analogia anche la memoria e la cultura di un popolo ne costituiscono la sua IDENTITA’). Del resto, senza memoria non vi è identità.
La memoria, però, si accresce in continuazione, e a volte dimentica degli episodi, per cui anche la MEMORIA SI EVOLVE (nel cambiamento continuo). Per completezza, bisogna aggiungere, che abbiamo anche altre memorie (Quella del DNA, e quelle registrate in supporti fisici artificiali: libri, internet, etc.).
Lo stesso, per un popolo o un gruppo sociale. Le sue memorie e la sua cultura, in parte, derivano da tradizioni orali, ma anche da scritture nella varie lingue, nelle raffigurazioni e nei simboli.

In conclusione sia per un singolo essere umano, e sia per un popolo o un gruppo sociale, il complesso delle nostre memorie (che si evolvono) ci fornisce la nostra identità.
Infine, ogni DNA di un organismo biologico è unico, ma questo non impedisce che si evolva in continuazione.
Se tutti i nostri ricordi e le nostre informazioni venissero registrate su qualche supporto (ad esempio in uno spazio internet), allora solo dopo la nostra morte biologica, tali ricordi diventerebbero IMMUTABILI e tale diventerebbe la nostra IDENTITA’; ed esiste una nuova teoria filosofica che prevede qualcosa di simile, che non debba essere necessariamente l’anima teorizzata da Platone e Sant’Agostino.

Un caro saluto,
Alessandra


Caro Mattia,
C’è qualcosa che sopravvive al cambiamento, alle più profonde trasformazioni che avvengono dentro di noi nel corso dell’esistenza? Che cosa conserviamo del bambino che eravamo o che cosa conserveremo dell’adolescente che ora siamo nell’età più adulta? E, al termine della vita, dove saranno tutte le varie identità che siamo stati o che abbiamo attraversato? Un importante psicoanalista americano contemporaneo, James Hillman (1926), nel libro La forza del carattere (Adelphi, 2000), ritiene che con il passare dell’età e dopo tutte le irreversibili modifiche a cui va incontro il nostro corpo, in realtà, si riveli sempre più il nostro “carattere”. Più o meno la stessa storia della nave di Teseo è raccontata anche dall’autore con un esempio (un po’ meno elevato di quello mitologico, ma sempre efficace): quello di un paio di calzini. Scrive Hillman: “Prendiamo, per esempio, il nostro paio di calzini di lana preferito. Si fa un buco in un tallone, e noi lo rammendiamo. Poi si fa un buco al posto dell'alluce, e rammendiamo anche quello. Rammenda oggi, rammenda domani, alla fine sono più i rammendi della lana originale e il nostro amato calzino è fatto di una lana completamente diversa. Eppure è sempre lo stesso calzino. In relazione all'aspetto e in relazione al suo compagno infilato nell'altro piede, è sempre lo stesso calzino. I due calzini vanno a spasso insieme, stanno ripiegati insieme nel cassetto; anzi, anche in relazione a se stesso, riguardo alla propria identità, si tratta sempre dello stesso calzino, benché sia diverso.” È cambiata tutta la lana, ma è rimasta la “forma” del calzino. Così avviene anche per il corpo. Dice l’autore: “Il corpo umano è simile al nostro calzino: si scrolla via le sue cellule, ricambia i fluidi, fa fermentare nuove colture di batteri per sostituire quelli morti. Con il passare del tempo, la materia di cui il nostro corpo è fatto diventa tutt'altra, ma noi siamo sempre noi, gli stessi. Non ho un centimetro quadrato di pelle visibile che sia uguale a prima, non un grammo di materia ossea uguale, eppure io non sono qualcun altro”.
Se la differenza tra noi e gli altri fosse definita dalla fisica (Due corpi non possono mai occupare lo stesso spazio nello stesso tempo), dalla logica (A=A, ogni cosa è uguale a se stessa) o dal diritto (tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge: ossia ogni individuo ha gli stessi diritti), allora saremmo facilmente interscambiabili. In queste formule è salvaguardata la forma generale, ma non compare ancora l’unicità delle persone. C’è l’individualità, ma mancano le peculiarità specifiche della persona. L’individualità possiamo dire che è la “forma” dell’uguaglianza: ogni individuo è uguale ad un altro dal punto di vista del diritto. Ma l’unicità della persona dipende invece dalle differenze qualitative che formano ciascuno di noi; differenze che si affinano con il tempo. Certamente l’unicità della persona si deve realizzare nel corso di tutta la vita: è come dire che non solo A=A, secondo un principio di identità astratto, ma anche che A =A≠A (Hegel) ossia che A, proprio nella trasformazione, rimane fedele a se stesso. L’identità pertanto non è qualcosa di astratto, ma è legata alla specificità di ognuno di noi; è dunque segnata dai nostri tratti caratteristici e da ciò che ci distingue e ci rende esclusivi.
C’è qualcosa di coerente che si mantiene nel tempo e caratterizza la nostra identità? Pensiamo oggi ai trapianti di organi, agli innesti di vario tipo che già si fanno e che saranno all’ordine del giorno nei decenni futuri. Materiali estranei che entrano a far parte del nostro corpo e che vengono percepiti come qualcosa di noi stessi. Anche se non sempre accade così: il Corriere della Sera, qualche anno fa, riportò un caso famoso di un cinquantenne neozelandese Clint Hallam, operato nel 1998 a Lione da un’équipe di medici internazionali per un trapianto di mano, che poco tempo dopo l’intervento chirurgico rifiutò la nuova mano («Troppo larga per il mio braccio, aveva un colore diverso») e venne pertanto rioperato a Londra nel 2001 (Corriere della sera, 4 febbraio 2001).
Quindi a volte percepiamo ciò che è estraneo come qualcosa che, ormai integrato nel nostro corpo, fa parte di noi stessi, altre volte no. Ciò che viene introdotto nel nostro corpo o nel nostro sistema immunitario può diventare “la mia anca”, “la mia cornea o “il mio cuore” oppure no.
E qui non parliamo ancora della molteplicità di sfumature che viene percepita dagli altri (un po’ come in Uno, nessuno e centomila di Pirandello), ma di quell’identità che percepiamo di noi stessi con il variare del tempo; un’identità data attraverso cambiamenti e trasformazioni. Secondo Hillman, dunque, nel corso del tempo si rivelerebbe sempre più il nostro carattere, una sorta di disposizione, di modo di fare, di inclinazione che modellerebbe anche il nostro volto; come se nella vecchiaia faccia e carattere si amalgamassero maggiormente.
Le diverse psicologie fanno oggi riferimento a diversi concetti per parlare del carattere, ad es. «personalità», «Io», «Sé », «identità», «temperamento», ma secondo Hillman nessuno di questi (un po’ troppo astratti) rende “un insieme di tratti e di qualità, di abitudini e di motivi ricorrenti” della persona. Egli fa dunque riferimento al termine “carattere” (non inteso da un punto di vista religioso o scientifico), cioè alle caratteristiche individuali, all’istinto o all’intelligenza immaginativa di ognuno che rappresentano la tonalità tipica con cui ogni persona si rapporta alle cose e alle persone: “Perché il carattere agisce alla stregua di un istinto sottostante, che sottolinea incisivamente i gesti che facciamo, le parole che diciamo, segnalandone lo stile particolare. È una forza immaginante per cogliere le tracce della quale occorre intelligenza immaginativa. Esiste un sentimento intuitivo che ci impedisce di deviare troppo dalla nostra strada e di oltrepassare troppo i nostri confini coinvolgendoci in mondi estranei alla nostra natura autentica”. Allora, probabilmente, la nonna non ha “perso il pelo”, ma ha semplicemente tracciato la peculiarità della sua unicità, guidata dalla forza del suo carattere. Con questo non voglio che si pensi al carattere in modo deterministico: il vissuto, l’ambiente, la cultura, gli incontri modificano interessi, pensieri e valori. Preferisco pertanto intendere il carattere come quel tratto caratteristico con cui ognuno di noi rende unico quello che fa, la modalità con cui ognuno lascia il proprio tratto personale negli ambiti in cui è impegnato; un tratto che si modifica e si affina in base alle infinite relazioni con il mondo e con gli altri, grazie alle occasioni che via via vengono valutate, scelte o scartate nel corso della vita.

Un caro saluto,
alberto

1 commento:

  1. Un ulteriore indizio che l’identità è legata alla memoria è dato dal sonnambulismo e dalle personalità multiple.

    Sappiamo, infatti, che I sonnambuli si muovono come se fossero svegli, ma in realtà dormono. Possono anche guidare l’auto, ma meglio non svegliarli. L’aggressività è una delle reazioni legate alla paura della sorpresa. Non sanno quel che fanno e nemmeno ricordano nulla dopo, al mattino quando si svegliano.

    L’inconscio che agisce prende il sopravvento sul conscio. E in accordo con le tesi di Maturana e Varela, l’inconscio riceve sia input tattili reali e sia input visivi di fantasia.

    Inoltre, in psichiatria, è noto da tempo che esistono persone SCHIZOFRENICHE CON PERSONALITA' MULTIPLE, ed ogni personalità ha una sua memoria indipendente, che viene ripresa ogni qualvolta quella personalità si manifesta.

    Alessandra

    RispondiElimina