lunedì 17 maggio 2010

Il cervello secondo il neuroscienziato Boyden



Da un'intervista riportata dal corriere della sera del 28 Aprile 2010.

La differenza tra Ed Boyden e gli altri neuroscienziati è questa: mentre i colleghi stanno a guardare i neuroni e le loro reazioni, lui li provoca e li manipola. E’ un capovolgimento sia concettuale sia pratico che stupisce molti, tranne i colleghi che lavorano con lui nel laboratorio del Massachusetts Institute of Technology di Boston (passa sotto il nome di «Media Lab’s synthetic neurobiology group»).

E’ con intuizioni controcorrente e test rivoluzionari che ha strappato un posto tra gli scienziati «under 40» più promettenti, secondo la rivista «Discover». E sono le sue invenzioni a farlo scintillare tra gli «innovatori top» scovati da «Technology Review». Ma di sicuro dovrebbe essere inserito in un’ulteriore lista, più fantasiosa, quella dei ricercatori caleidoscopici, che utilizzano le logiche multidisciplinari da cui far decollare le idee: fisico di formazione e ingegnere elettronico per passione, lavora con una ventina di giovani che frullano biologia, matematica, computer e filosofia, avventurandosi nell’optogenetica, là dove si intrecciano ottica e genetica. Alle particelle - ha confessato - preferisce i miliardi di neuroni. Sono loro il mistero con cui avrà a che fare la scienza del XXI secolo, ha ripetuto al «Brainforum», il convegno sulle neuroscienze di Roma.

Professore, lei che idea si è fatto del cervello? Come lo definisce?«Come un computer altamente specializzato e potente, con la capacità di processare emozioni, decisioni e anche una molteplicità di percezioni sensoriali. Tutto avviene in modo veloce ed efficiente. E’ possibile con gli “shortcuts”, le scorciatoie: succede per esempio con le illusioni ottiche, come quando si guarda una cascata e si vede un’insieme coerente, non certo le singole gocce».

Ma la concezione di questa macchina - anche per merito suo - sta ulteriormente cambiando, giusto?«Sappiamo dagli studi condotti nell’ultimo decennio che svolge una serie di compiti in modo molto efficace, mentre è pessimo per altri, come la matematica. Un personal è veloce, l’uomo è miliardi di volte più lento. La maggior parte di noi, almeno».

Lei è diventato celebre per l’uso delle molecole fotosensibili che trasferisce nei neuroni: come funziona questa tecnica?

«Sono ricerche che abbiamo cominciato cinque anni fa, qui a Boston, insieme con un team a Stanford e un altro in Germania. Il progetto prevede l’individuazione di alcune molecole capaci di convertire la luce in segnali elettrici. E dato che il cervello funziona con impulsi elettrici, proprio come un computer, abbiamo pensato di utilizzare quelle molecole per accendere e spegnere le cellule del cervello, come un computer attiva e disattiva i suoi componenti».

Come avete ottenuto queste sostanze?
«Le molecole provengono da molte specie viventi, per esempio alghe, batteri e funghi».

E come riescono a trasformarsi in interruttori cellulari?

«Le molecole sono proteine e sono quindi codificate da geni specifici: quando li si seleziona dal Dna e li si inserisce nei neuroni, si producono le proteine stesse, quelle che convertono la luce in energia».

Quando avete trasferito la tecnica sulle cavie che cosa è successo?«La usiamo per “accendere” e per “spegnere” diversi circuiti: per esempio allo scopo di alterare lo stato emozionale di un animale, interferendo con le aree e i sentieri cerebrali deputati a specifiche reazioni, o per modificare le funzioni sensoriali. Adesso collaboriamo con le università della Southern California e della Florida per convertire alcuni neuroni in fotocamere in grado di percepire la luce esterna. E’ una strada che si rivelerà utile per trattare la cecità».

Queste manipolazioni possono diventare un «gioco interattivo» tra voi e la cavia?
«Ci sono molti modi per inserire i geni e alcuni sono permanenti, mentre altri no. Abbiamo scelto la prima soluzione perché così gli esperimenti diventano più semplici. Si ricorre a dei virus, gli stessi sfruttati anche per gli esseri umani: oltre 600 persone sono state già trattate a scopo terapeutico con gli “Aav” - i vettori basati su virus adeno-associati - trasferendo, appunto, piccoli “pezzi” di Dna nell’organismo, che impara così a produrre le proteine necessarie. E sottolineo che non si sono registrati effetti collaterali. A questo punto è possibile la seconda fase: usare la luce, per frazioni di secondo, attivando e disattivando le cellule del cervello, creando effetti differenti».

Che tipo di effetti, anche cognitivi?

«Anche cognitivi, naturalmente. Spesso mi viene chiesto se sia possibile alterare una memoria e questa, in effetti, è una delle aree di ricerca più stimolanti. Lavoriamo con gruppi di “Ai” - quelli che si occupano di intelligenza artificiale - e un progetto di cui discutiamo è questo: se si inseriscono dati e informazioni nel cervello, allora potremo combinare l’intelligenza biologica con quella acquisita dall’esterno, creando un nuovo tipo di super-processore».

Vi concentrate su un’area «nobile» come la corteccia?
«Stiamo studiando a fondo questa area, ma l’obiettivo finale è indagare il cervello nel suo complesso, dato che lavora come un sistema emergente, come un computer».

Progettate esperimenti anche sugli esseri umani?
«Una volta che le tecniche si riveleranno perfettamente sicure ed efficaci, allora potranno essere utilizzate per sviluppare nuove terapie. Non dimentichiamo che già oggi ci sono centinaia di migliaia di persone a cui vengono applicati diversi tipi di “implants” - di protesi, cioè - come quelli uditivi nell’orecchio interno o quelli anti-Parkinson. Rappresentano la base per sviluppare sistemi di seconda generazione, più precisi e più efficaci».

Che cureranno che cosa?
«Dal Parkinson all’Alzheimer, penso. Ma anche tante altre disfunzioni neurologiche e psicologiche. Ci sono decine di team, non solo a Boston, che studiano tante possibilità».

Si apre però anche la possibilità di alterare idee e comportamenti, fino all’INTERA PERSONALITA': questo non la inquieta?
«Sono preoccupazioni comprensibili, ma è una questione che rientra in tema molto più vasto, da considerare in modo pragmatico: basta pensare alle dipendenze che si sviluppano in seguito alle sostanze farmacologiche».

Qual è il suo prossimo obiettivo?

«Sono tre, in realtà. Identificare nuove molecole con proprietà specifiche sul sistema nervoso. Creare micro-strumenti che facciano transitare le informazioni volute nel cervello. Immaginare, infine, nuove applicazioni cognitive e terapeutiche».

Chi è Ed Boyden Bioingegnere
RUOLO: E’ PROFESSORE DI SCIENZE COGNITIVE E RESPONSABILE DEL «SYNTHETIC NEUROBIOLOGY GROUP» AL MIT DI BOSTON(USA)
IL SITO DEL LABORATORIO: HTTP://EDBOYDEN.ORG/

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Questa intervista esprime una delle più aggiornate concezioni del funzionamento del cervello (apparentemente molto RIDUZIONISTA). Questo non significa, però, che non possa coesistere, con questa concezione, anche un approccio ESTERNISTA, ovvero che la "mente umana" (conscio ed inconscio) abbia dei collegamenti esterni con l'ambiente o con altri inconsci che influiscono sul comportamento generale. Tra le varie teorie esterniste c'è anche quella della mia scuola di pensiero.
Alessandra

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