Dopo migliaia di anni in cui sono accadute le stesse cose e l'uomo è migliorato molto poco dal punto di vista sociale, io mi chiedo: come fa l'uomo a credere in un Dio che ha come maggiore e principale attributo la bontà?
LucaCaro Luca,
Freud, prendendo spunto dall’idea di Darwin che l’uomo primitivo aveva una organizzazione sociale (anche se primitiva) la chiamò “Orda Primordiale”.
Freud tracciò la sua idea sulla vita dell’uomo primitivo. Stando all’epoca dell’uomo cacciatore, il capo branco, con al suo seguito i maschi più forti e abili, partiva per la caccia che poteva occupare periodi anche lunghi.
In questo tempo lasciava, come simbolo della sua legge-potere:
- un totem del clan – che appartiene a tutto il gruppo e si trasmette ereditariamente;
- un totem del sesso – riferito a tutti i maschi ed anche alle femmine come proibizione ai membri del “clan” di sposarsi tra loro
- un totem soggettivo – riferito a quanto il clan si aspetta dai componenti.
Al ritorno dalla caccia, il Capo esercitava il proprio diritto di possedere tutte le femmine e di punire chi avesse tentato di prendere il suo posto: di accoppiarsi con qualche femmina.
Questa azione non aveva nulla di “affettuoso” proprio in quanto il Capo era trascinato dalla sua “spinta libidica” dal piacere cha ha una giustificazione prevalentemente biologica (libido genitale).
La situazione di “sopruso” che poteva anche arrivare alla “castrazione” del giovane troppo attivo, portava ad una “ribellione” che, mettendo alla prova il potere del vecchio, finiva spesso con l’omicidio, l’uccisione cioè del Capo-branco ed anche del “pasto rituale” per appropriarsi delle sue qualità, capacità, potenzialità.
Freud vide in questo paradigma la nascita del “senso di colpa”, legato quindi al “parricidio e alla ribellione alle leggi aggressive e castranti del padre.
Questa situazione sociale, poi cambia, all’incirca 35.000 anni fa con la nascita dell’agricoltura e dell’evoluzione dall’uomo sapiens in uomo sapiens sapiens, attraverso la nascita degli affetti e dei sentimenti specificatamente familiari, in cui anche la madre diventa punto di riferimento.
Il concetto archetipo del padre-padrone, che poi l’uomo identifica con Dio, che ti premia o ti punisce a secondo del tuo comportamento, rimane per decine di millenni, fino ad arrivare a 5500 anni fa con la religione dei Sumeri, che hanno inventato la scrittura.
Se si legge il mio POST: http://apiuvoci2.blogspot.com/2009/10/1.html
si vede che già i Sumeri credevano che gli dei mandavano i terremoti per punire gli uomini; ovvero lo stesso concetto primordiale che gli dei (o più recentemente Dio) ti premiano o ti puniscono a secondo del tuo comportamento.
Ancor in modo più esplicito, la formulazione di questo concetto è stata tracciata già su un papiro, 2200 anni prima di Cristo, in occasione della caduta dell’Impero Egizio.
(vedi: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/osservatorio/articoli/osserva16.htm)
“Questo testo, che senza ombra di dubbio costituisce uno dei primi scritti della Storia, racconta l’angoscia di una persona colta e socialmente importante, forse uno scriba, che viene assalita da “un attacco di panico” di fronte al disgregarsi della forza vitale che aveva finora caratterizzato il proprio impero e, di riflesso, la propria esistenza. Da questa presa di coscienza, scaturisce una profonda reazione depressiva, da cui cerca di fuoriuscire interrogando la propria anima, nel tentativo di trovare in essa il motivo sufficiente per continuare a vivere. L’anima si impegna a fondo nel fornirgli valide e copiose risposte che possano indurre l’io sofferente a non abbandonare la vita, ma egli non si lascia convincere e, in preda alla più devastante disperazione, si uccide lanciandosi nelle fiamme.”Dovranno passare ben 1600 anni, per far sì che la mente umana elabori gradatamente nuove sinapsi. Ritroviamo, infatti, un episodio similare nel 600 a.c con il Libro di Giobbe, ambientato in Mesopotamia. Questo celeberrimo testo biblico costituisce il fondamento del superamento della domanda primordiale.
Nella versione originale, questa volta, Giobbe, alla fine, riesce a confrontarsi con Dio, che si rivela direttamente nella Sua vera natura. E”questa percezione non mediata del REALE che ingenera la nascita di nuovi concetti e di nuove sinapsi.
“Durante la visione del Principio Creatore, Giobbe sospende ogni giudizio, dato che comprende che le Leggi del Creato esistono indipendentemente da ogni desiderio umano: anche se per motivi assolutamente incomprensibili all’uomo, il Principio Vitale ingenera il sole, gli astri, gli oceani, insieme ai mostri Behemot e Leviatan. che sono emanazioni indissociabili della stessa Legge. Lo stesso Contenitore abbraccia aspetti diversi e contrapposti, senza contraddizione alcuna. Giobbe si rende conto che non è più possibile scindere il Creato nei suoi aspetti buoni e cattivi, che non esiste in Dio una volontà diretta volta alla protezione dell’Uomo e che le Sue Leggi non possono essere commisurate alla volontà umana.
Scrive G.Ravasi”...In questo mirabile discorso si celebra una vera e propria rivoluzione copernicana nella cultura dell'antico Oriente: l'uomo non è più al centro del creato, come insegnava la sapienza tradizionale, ma ne è solo una microscopica componente che non riesce a rendere conto dell'insieme del cosmo.
L' universo appare incomprensibile e ignoto nell' infinitamente grande (le strutture planetarie) e nell' infinitamente piccolo (il parto delle camosce). Eppure, l'Essere ha un progetto che tiene insieme armonicamente aspetti tanto disparati...(omissis)."Purtroppo la presa di coscienza CHE NON ESISTE IN DIO UNA VOLONTA’ DIRETTA ALLA PROTEZIONE DELL’UOMO O ALLA SUA PUNIZIONE, acquisita già nel 600 a.c., è un qualcosa che spesso si dimentica e che le religioni travisano.
Sul fatto che la società umana non migliori affatto nel tempo, invece non concordo, e ti invito a leggere il mio POST sul MALE e SUL BENE del 29 Gennaio 2010:
http://apiuvoci2.blogspot.com/2010/01/il-bene-e-il-male-rev-1.html
Da cui si evince che il genere umano sta tendendo, seppur lentissimamente, a diventare più altruista e meno egoista.Un caro saluto,
Alessandra
Caro Luca,
Il filosofo della scienza statunitense Daniel Dennett (1942), nel libro
Rompere l’incantesimo (Raffaello Cortina 2007) riporta una citazione dello scrittore Andy Rooney che ripropone in modo ironico le perplessità che hai espresso nella tua lettera:
“A Pasqua, secondo tradizione, il Papa prega per la pace e il fatto che questo non abbia mai avuto effetto nel prevenire o porre fine a una guerra non lo ha mai scoraggiato. Come se lo spiega il Papa, un rifiuto così sistematico? Che Dio ce l'abbia con lui?” Oppure, seguendo questa stessa linea, più avanti ricorre ad un’altra citazione e dice: “Come disse una volta il comico Emo Phillips:
"Quando ero ragazzo, pregavo sempre Dio perché mi regalasse una bicicletta. Poi ho capito che Dio non funziona in questo modo: allora ho rubato una bicicletta e ho pregato perché Dio mi perdonasse! ".” La versione ironica e spregiudicata cela però un’amara convinzione: o Dio non interviene nella storia degli uomini o l’azione di Dio nella storia è incomprensibile per l’uomo. Hai ragione quando dici che tra gli attributi di Dio quello della bontà è certamente uno dei più importanti. Nella
Bibbia, ad esempio, troviamo spesso il riferimento alla bontà di Dio. Il libro dei
Salmi è un continuo inno di ringraziamento a Dio per la sua bontà; infatti si incontra frequentemente la frase:
“Lodate il Signore, perché è buono”. E anche nel
Nuovo Testamento si fa riferimento alla bontà di Dio, ad esempio nel vangelo di Marco, quando un uomo si avvicina a Gesù e lo chiama
“Maestro buono” Gesù gli risponde:
“Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10,18). Certo, se si pensa alla creazione, oppure al fatto che esiste qualcosa piuttosto che nulla, alle meraviglie della natura, del cosmo, alla complessità della vita, alla pluralità delle forme viventi o anche alla nascita della vita stessa lo stupore e l’incanto possono far pensare alla grandezza e alla bontà di un Dio. Agostino parla di onnipotenza e di bontà di Dio guardando semplicemente con meraviglia la vita di un bambino. Nelle Confessioni, infatti, scrive:
“Tu dunque, mio Dio e Signore, che hai dato al bambino vita e corpo, che come vediamo lo hai dotato di sensi e di membra ben compaginate, hai reso grazioso il suo aspetto e hai insinuato in lui tutti gli impulsi vitali adatti a preservarne l’incolumità in ogni condizione, tu mi ordini di renderti lode per tutto questo e di riconoscerti e di inneggiare al tuo nome, Altissimo. Perché sei un Dio onnipotente e buono e lo saresti anche se questa fosse la tua sola opera, che non poteva esser compiuta da alcuno se non da te, unico, da cui viene ogni misura, modello di bellezza che ogni cosa modelli e ordini secondo la tua norma”. (
Le confessioni, Garzanti 2008). Non tutti credono però alla bontà di Dio e pensano che questo mondo sia il “
migliore dei mondi possibili”, secondo la celebre frase di Leibniz.
Arthur Schopenhauer ne
Il mondo come volontà e rappresentazione (Laterza 2009) dall’analisi di alcune sofferenze e dalla condizione umana giunge infatti ad altre conclusioni:
“Se finalmente a ciascuno si volessero porre sottocchio gli orrendi dolori e strazi, a cui è la sua vita perennemente esposta, lo coglierebbe raccapriccio: e se si conducesse il più ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, pei campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, ove ci si appiatta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l'occhio nella torre della fame di Ugolino, certamente finirebbe anch'egli con l'intendere di qual sorte sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro mondo reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono. Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il nostro mondo non offre materiale per un'impresa siffatta. Perciò non gli rimase se non trasmetterci, in luogo delle gioie paradisiache, gli ammaestramenti, che a lui furono colà impartiti dal suo antenato, dalla sua Beatrice, e da differenti santi. Da ciò apparisce abbastanza chiaro, di qual natura sia questo mondo”.Come a dire che a seconda di ciò su cui soffermiamo la nostra attenzione riusciamo o meno a vedere aspetti positivi dell’esistenza. Possiamo dire che il credente è più portato a valorizzare la meraviglia e si sente in dovere di ringraziare o di rendere lode a Dio; mentre il non credente, forse maggiormente concentrato sugli aspetti negativi dell’esistenza, manca di quella stessa fiducia, si sente “
gettato” in un mondo e non riesce a capacitarsi delle sofferenze e dei patimenti estremi; come dici tu, non riesce a pensare che un Dio buono possa lasciare accadere eventi crudeli e dolorosi a coloro che nella Bibbia vengono chiamati “
i suoi figli”. Non tutti infatti hanno la fiducia e l’ottimismo di Sant’Agostino il quale riteneva che Dio lasciasse accadere il male, perché in grado di trarre il bene anche dal male. Nel
De vera religione scriveva:
«Dio onnipotente, essendo sommamente buono, non lascerebbe assolutamente sussistere alcunché di male nelle sue opere, se non fosse onnipotente e buono fino al punto da ricavare il bene persino dal male».Nel Novecento, soprattutto a partire dall’Olocausto, l’idea che gli uomini sono abbandonati da Dio si è fatta molto forte, nella letteratura, nella poesia e nella filosofia. Ho qui davanti a me due libri di Elie Wiesel,
Il giorno (1999) e
La danza della memoria (2008), e voglio riportarti quello che mi ero segnato, proprio a questo riguardo. Il protagonista de
Il giorno, dopo un incidente, si trova in un letto di ospedale in gravi condizioni. Un dottore entra nella stanza e gli comunica che riuscirà a sopravvivere e che non gli devono amputare le gambe. Il medico gli dice: “«
Bisogna ringraziare Dio » e lui risponde:
« Come si fa a ringraziare Dio? » […] Avrei voluto aggiungere: perché ringraziarlo? Da tanto tempo non capivo più cosa avrebbe potuto fare il buon Dio per meritare l'uomo”. Ovviamente non fa riferimento alla propria condizione personale provvisoria, ma in quella condizione ha tutto il tempo per rievocare il passato e il genocidio degli ebrei. Nel secondo libro
La danza della memoria è invece riportato un dialogo che pare una lotta tra un credente e un non-credente: “
E Avrohom, di rimando: «E Dio, in tutto questo, il Dio d'Israele, dove lo mettete?». Il rosso: «Lei osa invocare Dio? Qui? Adesso? Ma dov'era Dio quando noi avevamo bisogno della sua bontà, della sua giustizia, della sua potenza?». Avrohom: «Era con noi. Come noi. Ha sofferto! Come noi, ne ha avuto abbastanza della laica umanità assassina! ». Il rosso: «Ma sta scherzando! Un Dio prigioniero degli assassini dei nostri figli! E lei ci crede ancora! ». Avrohom, fuori di sé: «Empio, capo degli empi, le tue parole sono blasfeme!”. Insomma, se uno si concentra sui fatti o sulla storia, può ricavare opinioni opposte sull’esistenza o non esistenza di Dio. Avrohom ha una fede incrollabile “nonostante” il negativo dell’esistenza, crede che Dio soffra con l’uomo stesso, mentre il suo interlocutore ha perso questa certezza.
In qualche modo, il credente conserva una speranza nonostante gli eventi sfavorevoli della vita. Considera bontà di Dio il fatto di essere al mondo e di avere una coscienza e pensa che Dio sia buono e che attraverso un’iniziativa gratuita (con Cristo) desideri farsi conoscere dall’uomo come fonte di amore, e che proprio l’amore sia il senso dell’esistenza.
Nel Novecento il filosofo Hans Jonas (1903-1993) ha scritto un piccolo libretto dal titolo
Il concetto di Dio dopo Auschwitz (Il Melangolo, Genova 2004), in cui sostiene che Dio avrebbe abdicato alla propria potenza per lasciare libero l’uomo. In qualche modo Dio, pur presente nel mondo e nell’uomo, avrebbe lasciato all’uomo completa libertà, rinunciando alla propria onnipotenza. Invece di pensare a Dio come essere onnipotente, secondo l’autore dovremmo pensare che Dio ha messo in gioco anche se stesso affidando completamente anche la propria sorte alla libertà dell’uomo.
Un caro saluto,
Alberto